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 2011  aprile 04 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 4 APRILE 2011

Per sparigliare le carte nella partita Parmalat e proteggere da scalate straniere le nostre imprese strategiche, il ministro del Tesoro Giulio Tremonti ha escogitato una sorta di Iri-bis imperniata sulla Cassa depositi e prestiti, società per azioni controllata dal ministero dell’Economia (70%) e da 66 Fondazioni bancarie (30%) che già possiede il 29,9% di Terna e il 26,37% dell’Eni. Giovedì è arrivata l’autorizzazione del consiglio dei ministri a «predisporre strumenti di finanziamento e capitalizzazione, analoghi a quelli in essere in altri paesi europei, mirati ad assumere partecipazioni in società di interesse nazionale rilevante in termini di strategicità del settore e di livelli occupazionali». [1]

Il decreto ha tre obiettivi: evitare il rischio di uno spezzatino, salvaguardare l’interesse nazionale, preservare l’indipendenza delle aziende. [2] Al contrario del vecchio Iri (l’Istituto di ricostruzione industriale costituito nel 1933 per fronteggiare la crisi, nel 2002 le attività residue confluirono in Fintecna), non è in programma il salvataggio di aziende decotte ma il sostegno a gruppi industriali che rischiano di finire sotto controllo straniero. Gian Battista Bozzo: «La stagione delle privatizzazioni si è conclusa con Alitalia, il caso Parmalat potrebbe rappresentare un nuovo modello di sostegno pubblico». [3] Roberto Tesi: «La scorsa settimana il governo ha varato un decreto per guadagnare tempo, ovvero per rinviare di 60 giorni l’assemblea di Parmalat (ma vale per tutte le società) che il 14 aprile doveva approvare il bilancio del 2010 e procedere al rinnovo degli organismi dirigenti (presidente e amministratore delegato, su tutti) che visti gli attuali rapporti di forza a maggioranza assoluta sarebbero stati nominati da Lactalis. E questo per permettere di mettere insieme una cordata italiana». [4]

In caso di Opa sul 100% del capitale Parmalat servirebbero poco meno di 5 miliardi di euro e nessuno è in grado di sopportare un esborso di questa entità. Tesi: «Di qui la trovata di Tremonti: sarà lo stato a metterci i soldi se l’impresa “aggredita” dall’estero è strategica. Però neppure il Tesoro naviga nell’oro e così Tremonti ha avuto la seconda pensata: potrà partecipare anche la Cassa depositi e prestiti la quale, tra l’altro, ha in portafoglio ampie partecipazioni al capitale di società come Enel e Eni». [4] Stefano Feltri: «Ma si tratta di aziende decisamente più strategiche di Parmalat che in Italia, peraltro, ha solo una piccola frazione del suo business (il 22 per cento). Comunque, ormai il governo ne ha fatto una questione di principio, più che di politica industriale». [5]

Per salvare Parmalat, andrà cambiato lo statuto della Cdp. Il presidente Franco Bassanini: «Si può anche cambiare velocemente». [6] Modificato più volte dopo lo scoppio della crisi del 2008 per estendere gli interventi del risparmio postale a sostegno dello sviluppo economico, già prevedeva la «gestione di ogni tipo di altra funzione di rilievo pubblicistico e attività di interesse generale assegnato per atto normativo, amministrativo e convenzionale». Isabella Bufacchi: «La norma anti-scalate straniere che ha iniziato a prendere forma giovedì va comunque oltre all’intervento a gamba tesa su Parlamat. Guarda avanti, a una strategia di lungo termine». [7]

Il decreto di giovedì sarà «esaminato attentamente» dalla Commissione europea. Massimo Sideri: «Lo ha detto la portavoce del Commissario per la concorrenza, Joaquim Almunia, la quale ha precisato che Bruxelles valuterà “se le regole del mercato unico saranno rispettate” e “agirà se così non sarà” . Peraltro iniziano a trapelare le prime indiscrezioni sulle “regole di ingaggio” del fondo: per evitare che si arrivi agli yogurt di Stato — le proteste per una nuova stagione Iri sono arrivate da diverse direzioni — gli interventi del fondo e della Cdp sarebbero “a tempo” e senza tentativi di influenzare la governance. Insomma, l’impatto sul mercato dovrebbe essere sterilizzato al massimo». [8] Da subito, lo Stato potrà istituire un fondo o un altro strumento ad hoc dotato di soldi pubblici o quasi (nel caso della Cdp si tratterebbe dei 206 miliardi di risparmi postali degli italiani). [9]

Tremonti ha preso a modello il Fonds Stratégique d’investissement francese. Walter Galbiati e Ettore Livini: «Una sorta di Iri francese, partecipata al 51% dalla Caisse des Dépots e al 49% dall’agenzia di partecipazione dello Stato che ha investito 16,2 miliardi in partecipazioni d’aziende strategiche per Parigi tra cui Accor (alberghi), France Telecom ed Eutelsat». [9] L’Fsi è stato costituito nel dicembre del 2008 su iniziativa del presidente Nicolas Sarkozy per dotare la Francia di una sorta di fondo sovrano in grado di sostenere finanziariamente soprattutto le medie imprese – in particolare familiari – di settori ritenuti rilevanti nel quadro di una logica di filiera industriale. [10]

Se il sistema industriale italiano appare oggi così esposto è perché è tramontato quel modello pubblico/privato che vedeva nell’Iri e nella Mediobanca di Cuccia i baluardi assoluti del capitalismo italiano: è questo il ragionamento che sta alla base del decreto di giovedì. Fabrizio Forquet: «Un’evoluzione positiva per molti versi, perché ha aperto il mercato e permesso l’ascesa di nuovi soggetti. Ma che ha lasciato il paese più esposto davanti alle scalate straniere. Il fondo “alla francese” servirebbe appunto a contribuire a rimediare a questa falla. Non un baluardo, magari, ma una torre di avvistamento sì». [11]

È un tuffo nel passato, dicono i critici di Tremonti. Roberto Mania: «È lo Stato che torna a farsi padrone». [12] Alessandro Penati: «La Cassa DDPP, trasformata in novella Iri, per avere il latte di Stato. Idea brillante per un Paese col debito pubblico al 120% del Pil». [13] Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: «Il concetto di settore è superato: conta - all’interno di ognuno dei cosiddetti settori - la capacità innovativa, l’abilità nell’internazionalizzare il business, la quantità di componente di servizio che si inserisce in un bene». [14] Secondo Luca Cordero di Montezemolo, predecessore della Marcegaglia, anziché difenderne l’italianità, il lavoro del governo «dovrebbe essere quello di creare condizioni per far nascere altre mille Bulgari e mille Parmalat». [15]

Il problema di Parmalat sono i francesi o la cattiva gestione industriale? Penati: «È la storia di tanti nostri marchi: Simmenthal, Galbani, Star, Perugina, San Pellegrino, Caffè Hag, Invernizzi, Algida; nella moda, Valentino, Ferrè, Fendi, Gucci, ora Bulgari. Una cattiva gestione; o un imprenditore che non ha capito quanto sia aumentata con la globalizzazione la dimensione del suo mercato rilevante e, incapace di crescere oltre i confini, preferisce passare all’incasso. Se non ci sono italiani disposti a comperare, ovvio che lo facciano gli stranieri. Il problema è nelle aziende, non nell’imperialismo straniero». [13]

La dimensione di molte imprese italiane va bene solo per casa nostra. Penati: «Anche perché le banche italiane non sono grado di sostenere e finanziare la loro crescita all’estero». [13] Nel progetto di Tremonti, la Cdp è importante anche per il sostegno patrimoniale delle banche che dovranno rafforzare la propria capitalizzazione. Forquet: «Sia chiaro: c’è fiducia sulla capacità delle banche italiane di rastrellare sul mercato le risorse di cui hanno bisogno e dunque sull’inutilità di un qualunque intervento pubblico. Ma una rete di protezione di ultima istanza, un backstop può essere utile. Soprattutto se a giugno il verdetto degli stress test sugli istituti italiani dovesse rivelare una scarsità di capitale più ampia del previsto». [11]

Da tempo Tremonti sostiene che servirebbero anche da noi i campioni nazionali, proprio come in Francia, per potere fare massa critica e muoversi sui mercati globali, comprando gli altri e difendendo se stessi. Mania: «I campioni che c’erano, appunto, ai tempi dell’Iri. Ma in questo disegno c’è, tra le altre, un’incognita che riguarda il ruolo delle fondazioni bancarie, potenti e ricchissime (quasi 50 miliardi di patrimonio contabile). Le fondazioni possiedono il 30% della Cassa. Investono lì perché la Cdp ha - proprio come le fondazioni - una serie di vincoli che le vietano operazioni rischiose. Certo non sarebbe il caso della Parmalat che ha in pancia 1,4 miliardi, ma se il governo decidesse di salvare un’azienda decotta di grandi dimensioni operante in un settore strategico?». [12]

A detta di alcuni, più che politica industriale quello di Tremonti è dirigismo. Carlo Scarpa, docente all’Università di Brescia: «Oppure è un revival della politica industriale della Dc negli anni 50: entro nell’azienda che decido io e faccio quello che decido io. Personalmente sono allergico all’idea dei settori strategici. È una formula che non vuole dire nulla. Fu Lenin a inaugurarla nel suo primo piano quinquennale». Giuseppe Berta, storico dell’industria alla Bocconi: «Almeno Beneduce (Alberto, primo presidente dell’Iri, ndr) aveva una visione dell’economia italiana e del rapporto tra banche e imprese. Quello di Tremonti, invece, è intervento pubblico senza politica industriale». [12]

Perché tutto questo per Parmalat, e non per Bulgari, un simbolo dell’Italia nel mondo di ben altro peso? Penati: «La ragione, temo, è che Bulgari non compera il latte dagli allevatori padani, roccaforte del voto leghista, a un prezzo tra i più alti d’Europa. Le partecipazioni statali a scopi clientelari sono tornate». [13] A proposito di Lega: dovrebbero arrivare oggi a borse chiuse i nomi per rinnovare i vertici delle società quotate controllate dal Tesoro (Terna, Eni, Enel, Finmeccanica). Bossi & C. sono andati all’attacco su tutti i fronti. Nella società più piccola, Terna, «destinata presto a diventare un boccone molto pregiato con l’annessione di Snam Rete Gas che l’Eni dovrebbe cedere» (Roberto Bagnoli) il Carroccio propone per la presidenza Roberto Castelli, viceministro per le Infrastrutture. [16]

Per Castelli è stata ipotizzata anche la presidenza dell’Enel, dove c’è anche un’altra candidatura leghista, Gianfranco Tosi, ingegnere, ex sindaco di Busto Arsizio, già nel cda elettrico. Alla presidenza dell’Enel c’è la resistenza di Piero Gnudi, il «Cuccia di Bologna», arrivato nel 2002 con l’appoggio di Pier Ferdinando Casini, Gianni Letta sostiene l’ex ministro Augusto Fantozzi, commissario della vecchia Alitalia. All’Eni l’a.d. Paolo Scaroni, pur non essendo pienamente gradito a Tremonti, non sembra insidiato da candidati alternativi e quindi dovrebbe restare per altri tre anni. Per Finmeccanica, la Lega propone come ad il piacentino Giuseppe Orsi, amministratore delegato di AgustaWestland: se la vedrà con Giuseppe Zampini, ad di Ansaldo Energia sostenuto da Letta, in corsa anche Alessandro Pansa, già condirettore generale e direttore finanziario. [16] Il manifesto: «Le richieste della Lega erano quattro, cioè un modo per portarne a casa almeno due». [17]

Note: [1] Walter Galbiati e Ettore Livini, la Repubblica 1/4; Roberto Mania, la Repubblica 2/4; [2] Luca Fornovo, La Stampa 1/4; [3] Gian Battista Bozzo, Il Giornale 1/4; [4] Roberto Tesi, il manifesto 1/4; [5] Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 1/4; [6] Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 2/4; [7] Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 1/4; [8] Massimo Sideri, Corriere della Sera 1/4; [9] Walter Galbiati e Ettore Livini, la Repubblica 1/4; [10] Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore 31/3; [11] Fabrizio Forquet, Il Sole 24 Ore 31/3; [12] Roberto Mania, la Repubblica 2/4; [13] Alessandro Penati, la Repubblica 2/4; [14] Alberto Orioli, Il Sole 24 Ore 2/4; [15] Francesco Spini, La Stampa 2/4; [16] Roberto Bagnoli, Corriere della Sera 2/4; G. D., Il Sole 24 Ore 1/4; [17] f. p., il manifesto 1/4.