Matteo Collura, Corriere della Sera 02/04/2011, 2 aprile 2011
L’ULTIMO TESTIMONE FA RIAPRIRE IL CASO MAJORANA
C’era da aspettarselo: prima o poi la magistratura si sarebbe occupata di quello che può essere definito il mistero più intrigante della storia italiana dell’ultimo secolo: la scomparsa di Ettore Majorana. Per questo non sorprende che la Procura di Roma abbia aperto un’inchiesta, anche se — trascorsi ormai settantatré anni— sarà ben difficile venire a capo del mistero (e qui sarebbe da aprire un discorso sull’opportunità da parte della magistratura di dedicarsi a un caso del genere, più letterario, ormai, che giudiziario).
Che Ettore Majorana, fisico dall’intelligenza straordinaria, non sia morto suicida in quel lontano 1938, ma che abbia voluto scomparire di sua volontà, sembra ormai più che probabile. Tra l’altro, questa scelta che potremmo definire pirandelliana (alla Mattia Pascal) è una sorta di chiodo fisso di un fisico che da anni cerca indizi sulla scomparsa dello scienziato catanese, Erasmo Recami, il quale, nello scovare documenti e nell’interrogare testimoni, si è convinto che non di suicidio si trattò ma di fuga; una fuga che avrebbe portato Ettore Majorana in Argentina.
Anche Leonardo Sciascia nel racconto inchiesta «La scomparsa di Majorana» non sembra essere convinto del suicidio. Piuttosto il suo è un edificante— e potremmo dire «precettivo» — tentativo di costruire un mito utile al genere umano: quello dello scienziato che rifiuta la sua stessa scienza nel momento in cui si rende conto che essa può portare alla distruzione dell’umanità. Insomma, Ettore Majorana avrebbe calcolato e «visto» i terrificanti effetti della bomba atomica.
Che egli sia stato un genio nel suo campo, non vi sono dubbi. Lo confermano le testimonianze dei suoi colleghi dell’istituto di via Panisperna a Roma, Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Enrico Fermi (con quest’ultimo, tra l’altro, Majorana ebbe un confronto scientifico non proprio benevolo, al culmine del quale dimostrò di essere lui il più abile nei calcoli).
Tra i documenti che proverebbero la presenza dello scienziato siciliano in Sudamerica, una foto che lo ritrarrebbe— lui, per la verità, non perfettamente riconoscibile— con il boia nazista Adolf Eichmann. Il Sudamerica, e precisamente l’Argentina, è il paese dove quasi tutti gli autori di inchieste— la maggior parte letterarie— finiscono con il «ritrovare» Majorana. Vero è che qualcuno, oltre vent’anni fa, credette di riconoscere lo scienziato in un barbone finito sui marciapiedi di Marsala, in Sicilia (episodio del quale, in qualità di procuratore della Repubblica, si occupò Paolo Borsellino), ma gli indizi più convincenti portano tutti a Buenos Aires, dove, ha scritto in un recente libro lo spagnolo Jordi Bonells, «Majorana visse sotto falso nome dal 4 aprile 1939, data del suo arrivo a Porto Madero, alla fine del mese di giugno 1976» . Proprio in questi giorni i carabinieri del nucleo investigativo di Roma interrogheranno un testimone che, in un’intervista televisiva, ha affermato di aver visto lo scienziato a Buenos Aires intorno al 1945.
In Argentina, dunque, dove dopo la seconda guerra mondiale avrebbero trovato rifugio i carnefici nazisti. Ed è particolare inquietante, questo. Perché — a detta dei suoi colleghi — Majorana tornò oltremodo turbato da un viaggio in Germania per ragioni di studio. Questo è un aspetto della vicenda da approfondire, anche se ormai i testimoni sono tutti scomparsi. Certo è che nell’ultima fase della sua vita, Ettore Majorana mostrò difficoltà nel comunicare con gli altri, nello stare insieme anche alle persone che avrebbero dovuto essergli più care. Qualcuno notò che non apriva più le lettere che riceveva, e che anzi vi scriveva sopra: «Si respinge per morte del destinatario» .
Ma morì davvero, Majorana, la notte tra il 26 e il 27 marzo 1938, dopo essersi lanciato in mare dalla nave che da Palermo lo portava a Napoli? Una cosa è certa: se così avesse deciso di far credere, lui ci sarebbe riuscito. E difatti il caso fu chiuso come suicidio. Del resto, quando una persona intelligente come il giovane fisico Ettore Majorana o come l’anziano economista Federico Caffè (scomparso anche lui nel nulla nella primavera del 1986), intende far perdere le proprie tracce, non c’è polizia che tenga.
Certo, è strano che un uomo che intende suicidarsi, qualche giorno prima di mettere in atto l’irrimediabile proposito, vada a prelevare gli stipendi arretrati o si interessi al proprio passaporto, come Majorana fece. E poi c’è quel biglietto che lasciò alla famiglia. Uno scritto che sembra contenere un messaggio cifrato, e comunque qualcosa che potrebbe far pensare a una beffa atroce: «Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi» .
Sul perdono, non sappiamo che dire, anche perché non ci compete, figli come siamo del terzo millennio. Sul ricordo parlano i fatti. Non c’è persona più viva nella memoria collettiva di Ettore Majorana, anche se oggi ben altri sciagurati ordigni di distruzione di massa ha messo a punto la scienza, a nulla essendo valsa— ammesso che egli abbia vissuto questo terribile dramma— la lezione dello scienziato scomparso.
Matteo Collura