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 2011  aprile 02 Sabato calendario

«A MIA MOGLIE L’AVEVO DETTO MA LEI NON MI HA CREDUTO» —

«L’ho colpita con uno zoccolo, ma non pensavo che fosse morta. Ricordo solo di averle avvolto un lenzuolo attorno alla testa» . È la scena centrale del delitto dell’Olgiata, quella rimasta segreta per vent’anni. Un mistero che l’ex domestico filippino Winston Manuel, 40 anni, non aveva mai rivelato finché il Dna individuato dai carabinieri del Ris non lo ha incastrato. È da poco finito l’interrogatorio di garanzia quando l’avvocato Andrea Guidi avverte il pubblico ministero Francesca Loy che Manuel ha deciso di confessare. Era la notizia che il magistrato aspettava: salta su una macchina, raggiunge Regina Coeli, scambia poche parole con il difensore e con il tenente colonnello Bruno Bellini, del Nucleo investigativo, e l’interrogatorio comincia. Sono le tre del pomeriggio: per raccontare la sua verità l’ex domestico impiega poco più di un’ora. In jeans e maglione, all’inizio il filippino appare sereno e un po’ titubante. Poi però, nella stanzetta spoglia di Regina Coeli, quando ricorda il delitto, scoppia a piangere. Le lacrime gli rigano il volto almeno tre o quattro volte e c’è anche un momento in cui afferra le mani della Loy. I rimorsi All’inizio, l’interrogatorio è quasi una confessione: «Ho sempre avuto questo peso sulla coscienza -racconta Manuel con un filo di voce -. Ogni volta che sentivo parlare dell’omicidio mi prendeva l’angoscia, era come una ferita che si riapriva» . Perciò, continua l’ex domestico dell’Olgiata con le lacrime in gola, in più occasioni era stato sul punto di costituirsi, ma non ci era riuscito e aveva rinunciato: «Ho pensato altre volte di andare dalla polizia, dai giudici, ma non ho avuto mai il coraggio perché mi ero rifatto una vita. Sapevo di dover rendere conto alla giustizia, ma a ogni figlio che nasceva mi dicevo: "Non posso finire in carcere". Una volta l’ho detto a mia moglie Rowena che ero stato io a uccidere la contessa. Ma non mi ha creduto» . La figlia Da Rowena il filippino ha avuto tre figli, due femmine e un maschio. Per una di loro, di sedici anni, ha scelto lo stesso nome della contessa. Il dettaglio non è passato inosservato agli investigatori. Perciò il magistrato ne chiede la ragione. «Ho chiamato Alberica una delle mie figlie -spiega l’ex domestico -perché era un modo per discolparsi, per scusarsi per quello che ho fatto» . Il delitto Il movente dell’omicidio era già stato ipotizzato dalla procura. E ora Manuel, licenziato dalla Filo della Torre dopo due mesi, lo conferma: «Volevo che la contessa mi riprendesse, avevo bisogno di lavorare, mi servivano i soldi» . Ed ecco il racconto dell’omicidio, pieno di «non so» , di «non ricordo» . «Quella mattina -inizia l’ex domestico -sono arrivato in scooter, il cancello era aperto e sono entrato, credo di essere salito su dall’ingresso principale. La contessa era in camera sua, sapevo che l’avrei trovata lì perché era presto. Non so cosa è successo, se c’è stata una discussione... Ricordo che ho trovato uno zoccolo, l’ho preso e l’ho tramortita. Ma non pensavo di averla uccisa» . Manuel piange, poi riprende: «Da quel momento non ricordo più nulla, soltanto che le avvolto un lenzuolo attorno alla testa. Non credo di aver rubato i gioielli, non mi sembra. Ho chiuso a chiave la porta della stanza e sono fuggito dalla porta finestra sul balconcino. Sono sceso dal muro e sono uscito dal cancello principale. Non so se mi ha visto qualcuno. Ho ripreso il motorino e sono andato via. La chiave della camera da letto l’ho buttata nei prati dell’Olgiata. Mi aspettavo che la sera mi sarebbero venuti a prendere, ma non è successo niente» . Il lavoro Il magistrato vuole sapere quali fossero i compiti di Manuel nella villa: «Dovevo spolverare e dare da mangiare ai cani -spiega lui -. Per questo non hanno abbaiato quando mi hanno visto, perché mi conoscevano» . Nei giorni successivi all’omicidio, prosegue il filippino, «ho fatto le solite cose, ho continuato a lavorare nell’altra villa all’Olgiata dove mi avevano assunto. Ma non ricordo come mi sentivo, se provavo qualcosa di particolare» . La malattia «Mi sono sposato con Violeta (un’altra domestica della Filo della Torre, ndr) quando stava per essere chiusa la prima inchiesta. Non abbiamo avuto figli. Poi mi sono ammalato, ho avuto l’encefalite e sono finito sulla sedia a rotelle. Non riuscivo a muovere le gambe e nemmeno le braccia (fa segni con le mani per farsi capire e piange di nuovo). Perciò sono partito per le Filippine, per curarmi. Lì ho conosciuto Rowena, la mia seconda moglie. Sarei potuto restare nel mio Paese, lo so, ma sono tornato in Italia perché mi sembrava la cosa migliore per dimenticare. Così mi sono fatto coraggio. Da allora ho cancellato mano a mano tutto quello che era successo quel giorno» . Il denaro Chi indaga aveva già scoperto che la vittima aveva prestato al filippino un milione e mezzo di lire. Diversi testimoni hanno poi spiegato che Alberica non era contenta del domestico perché, tra l’altro, «chiedeva sempre anticipi» . Anche su questo punto il filippino conferma le ipotesi degli investigatori. «Sì -ammette -la contessa mi aveva anticipato due mensilità» . Non ricorda però quale fosse la cifra. Le arti marziali L’assassino, oltre a colpire la vittima con uno zoccolo, l’ha anche soffocata schiacciandole la trachea con due dita. Una manovra che si impara praticando alcune arti marziali orientali. Per questo viene rivolta a Manuel una domanda sul punto. E lui: «Qualche volta ho praticato l’escrima e l’arnis de mano, ma solo da ragazzo» . Le lacrime Piange ancora una volta, l’ex domestico, quando l’interrogatorio finisce. Ma si sente sollevato. «Vi ringrazio -dice -e chiedo perdono agli italiani, a tutti voi, alla contessa, al dottor Mattei e ai figli per quello che ho fatto. Adesso finalmente mi sento meglio» .
Lavinia Di Gianvito