Michele Farina, Corriere della Sera 02/04/2011, 2 aprile 2011
BATTAGLIA FINALE IN COSTA D’AVORIO. GBAGBO ASSEDIATO
Laurent Gbagbo amava dire che «il tempo è l’altro nome di Dio» . Per quattro mesi questo ex professore di storia di 65 anni, al potere dal 2000, ha resistito nel palazzo sulla laguna di Abidjan accanto alla moglie Simone. I generali gli erano fedeli, le milizie dei Giovani Patrioti davano la caccia agli oppositori, i mortai ammazzavano i civili (500 morti) nei quartieri del partito rivale mentre il mondo guardava al Medio Oriente e un milione di ivoriani scappava oltre frontiera. Nel Paese del cacao e dei due presidenti il tempo sembrava giocare a favore del veterano che nel novembre scorso rifiutò di riconoscere la vittoria elettorale dell’arcirivale Alassane Ouattara, sostenuto dalla comunità internazionale ma non dall’esercito del proprio Paese. Permesi l’economista Ouattara è stato il presidente legittimo ma prigioniero, chiuso nel Golf Hotel protetto da 800 Caschi blu. In pochi giorni le posizioni si sono ribaltate. Il tempo in Costa D’Avorio ha preso a soffiare impetuoso contro Gbagbo. Adesso è lui l’accerchiato. I guerriglieri del Nord che appoggiano Ouattara sono entrati all’alba di ieri in Abidjan, dopo aver conquistato città dopo città in cinque giorni, incontrando pochissima resistenza. Parola magica: defezioni. Il capo dell’esercito ha mollato Gbagbo rifugiandosi nell’ambasciata sudafricana. Fondi congelati, stipendi in forse. Secondo l’Onu, presente con 10mila peacekeeper, oltre 50 mila soldati ivoriani hanno abbandonato la causa. E forse anche i maghi su cui Gbagbo contava (parola di Barack Obama) hanno finito gli amuleti. Così i pick-up delle «Forze nuove» hanno attaccato la zona di Plateau, dove sorge il palazzo presidenziale, e quella di Cocody dove Gbagbo ha la residenza. Battaglia violenta, mitragliatrici e kalashnikov, fino al pomeriggio. A difendere Gbagbo i fedelissimi della Guardia repubblicana, meglio armata del fronte pro Ouattara. In serata l’entourage del presidente uscente comunicava che l’offensiva «ribelle» era respinta. Ma non sembra credibile l’ipotesi di battaglia «ad elastico» modello libico. È come se gli insorti di Bengasi fossero già a Tripoli. La tv, per mesi megafono di Gbagbo, è muta da giovedì. La fine del professore che non ha saputo perdere sarebbe questione di giorni se non di ore. Nelle borse mondiali il prezzo dei titoli legati al cacao è sceso: i mercati scommettono su Ouattara e la riapertura del commercio bloccato dall’embargo. Anche il cioccolato è amaro per Gbagbo. Ma lui fa sapere di non accettare l’esilio (neppure il posto alla Boston University offertogli da Obama). Gli appelli in questo senso del Segretario generale dell’Onu e dell’Unione africana sono caduti nel vuoto, nella calma surreale che ha avvolto Abidjan dopo 26 ore di battaglia. Il governo di Ouattara, che controllerebbe l’ 80%del Paese, ha ordinato la chiusura delle frontiere. Coprifuoco fino al mattino. Notte di ultime trattative. Aeroporto in mano all’Onu e alle forze francesi (1.100 uomini), ex potenza coloniale. Parigi in prima linea, come per la Libia. Sarkozy ha parlato ieri con Ouattara. E 1.500 stranieri hanno trovato rifugio in una base francese. I 500 italiani sono in contatto con la nostra ambasciata. Come a Tripoli anche ad Abidjan la partenza del «cattivo» sarebbe una soluzione. Ma agli amici Gbagbo ha detto di essere pronto a morire come Allende in Cile, sotto le bombe nel Palazzo de la Moneda. Via lui, ci vorrebbe un Mandela ivoriano. Nella società il fronte Gbagbo è numeroso. Niente vendette. Ma già l’Onu denuncia violazioni dei diritti umani nelle città conquistate dalle forze pro Ouattara.
Michele Farina