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 2011  aprile 01 Venerdì calendario

LA VOCAZIONE INTERNAZIONALE DI ENEL E IL «RITORNO AL FUTURO» CON IL CARBONE

Fulvio Conti si avvia al suo terzo mandato da amministratore delegato, probabilmente assieme al presidente Piero Gnudi, avendo fatto dell’Enel un colosso internazionale, ma concepito e pagato prima che la crisi finanziaria, la recessione occidentale e il grave incidente nucleare giapponese rimettessero in discussione il mondo dell’energia, e anche prima che la leadership del capo azienda e del consiglio di amministrazione venisse insidiata dalla maggioranza di centro-destra che, in perfetto stile Prima Repubblica, sembra arrogarsi anche le nomine di secondo livello, vedi la candidatura di Augusto Fantozzi alla presidenza di Enel Green Power. Ma andando all’osso, resta una domanda di fondo: se il nuovo colosso abbia i piedi di argilla o d’acciaio. La risposta non è priva di ambivalenze.
Cominciamo dal nucleare, la partita più calda, ma non troppo rilevante per il bilancio. Al momento. Oggi la produzione di fonte nucleare, tutta estera, contribuisce per il 6%al margine operativo lordo del gruppo Enel. Gli investimenti per l’avvio del nucleare in Italia ammontano a 350 milioni fino al 2015 su un piano globale di 30 miliardi. Il grosso del progetto, 4 reattori Epr per una spesa annunciata in 18 miliardi, verrà realizzato in seguito, quando probabilmente Conti non sarà più alla guida dell’Enel e Berlusconi avrà lasciato palazzo Chigi. E sarà spalmato su 10 anni. L’Enel non ha ancora chiarito quanto sarà finanziato a debito e quanto con capitale di rischio. Metà delle azioni della società di scopo, tuttavia, dovrebbero venir sottoscritte da consorzi di clienti che si impegnano a ritirare energia in proporzione e metà dall’Enel e dalla francese Edf, regina del nucleare mondiale. Naturalmente, i conti veri restano da fare, a cominciare dal prezzo al quale i consorzi ritirerebbero la loro quota di produzione per finire alle garanzie bancarie e assicurative nonché agli accantonamenti per lo smaltimento delle scorie e lo smantellamento, dopo 60 anni, delle centrali. Ma dopo Fukushima sono forti le probabilità che tutto resti sulla carta: quando avviene in un paese evoluto e disciplinato come il Giappone, il disastro fa intravedere rischi che potrebbero fermare sine die il ritorno dell’Italia all’atomo. Con il risultato di rilanciare la centrale a carbone di Rossano Calabro.
Più concreta è l’analisi del rendimento finanziario dell’Enel, il vero obiettivo che lo Stato azionista si è posto dal collocamento del titolo in Borsa nel 1999. Da quando, maggio 2005, Conti venne promosso a capo dell’ex monopolio della luce, il total return (variazione del titolo più dividendi) è stato del 10%, ovvero dell’ 1,64%su base annua. Anche la Borsa italiana dà un total return del 10%sui 6 anni, ma negativo. Il Msci World Index esprime invece una performance positiva per il 6,3%annuo, trainato dai paesi emergenti che hanno risentito poco o nulla della crisi finanziaria e della recessione. In Europa, alcune consorelle, come la francese Edf e la tedesca Rwe, vanno peggio dell’Enel, altre come l’altra tedesca E. On e la spagnola Iberdrola vanno meglio, rispettivamente con un 3,7 e un 7,2%di rendimento totale annuo. Nonostante la ripresina delle quotazioni, il valore dell’impresa Enel (capitalizzazione più debito finanziario netto) si ferma a 86 miliardi, pari a 5,1 volte l’Ebitda (margine operativo lordo) contro una media delle utilities europee di 6,4 volte. La Borsa dunque colloca l’Enel nell’aurea mediocritas. Ma la Borsa dice poco. Specialmente se l’azionista principale non deve vendere. Meglio ragionare sui fondamentali.
Le attività del gruppo, che comprendono anche avviamenti e altri intangibili per 39 miliardi, sono finanziate per 53 miliardi da mezzi propri e di terzi e per 65 miliardi da obbligazioni, debiti bancari e altre passività finanziarie. La società preferisce parlare del debito finanziario netto, depurato cioè della cassa e dei crediti finanziari, che migliora scendendo da 50,9 a 44,9 miliardi. E mettere in relazione questo debito netto con l’Ebitda di 17,5 miliardi, prospettando un rapporto tra le due grandezze che nei prossimi 5 anni scenderà da 2,5 a 1,8 volte solo grazie all’autofinanziamento, ritenendo conclusa la fase delle operazioni straordinarie. Mediobanca Securities, invece, riclassifica il debito netto non considerando i crediti per il rimborso del deficit tariffario spagnolo (oltre 9 miliardi) e i derivati (3 miliardi). E così, secondo Piazzetta Cuccia, i 44,9 miliardi di debiti finanziari netti diventano 57,2. Bizzarrie di analisti? Mica tanto.
La Spagna ha un sistema tariffario per cui il governo riconosce ex post e a sua cura l’adeguamento delle tariffe praticate all’utenza. Le difficoltà del 2010 hanno rallentato i pagamenti. Ora il governo di Madrid ha costituito un ente, il Fade, che emette obbligazioni e con il ricavato rimborsa il dovuto. Il Fade ha iniziato a funzionare, ma ha un limite di intervento garantito dal Regno di Spagna pari a 22 miliardi entro il 2012 per tutti i produttori. Chi ha fiducia nella ripresa della Spagna, è sicuro che il credito verrà soddisfatto. Le agenzie di rating, per prudenza, hanno declassato il merito creditizio Enel.
Ma il bilancio è una partita doppia. A fronte del debito stanno le acquisizioni estere, soprattutto il 92%di Endesa, ultimata nel 2009. Secondo la ricostruzione dell’Enel, l’esborso è stato pari a 37,8 miliardi poi ridotto a 27,8 grazie alla cessione di alcune attività del gruppo spagnolo alla tedesca E. On e alla spagnola Acciona. Si tratta della più grande acquisizione mai fatta da un’impresa italiana all’estero. Che, come abbiamo visto, mette in tensione le finanze di casa.
Alla Borsa madrilena, la partecipazione Endesa vale circa 20 miliardi. La minusvalenza teorica è di quasi 8 miliardi. Ma l’Enel non svaluta perché ritiene che i flussi di cassa futuri provenienti da Endesa saranno tali da giustificare il prezzo d’acquisto. In effetti, se l’Ebitda generato in Italia nel 2010 da Enel ed Enel Green Power è di circa 7,2 miliardi, quello proveniente da Endesa (Spagna e America Latina) supera già i 7,8 miliardi. E nel 2015, a fine piano, mentre il margine italiano è previsto stabile, quello di Endesa dovrebbe superare gli 8,2 miliardi. L’Italia, probabilmente, riacquisterà un po’ di spinta con l’entrata a regime della centrale a carbone di Porto Tolle dove si investirà un miliardo per catturare e sequestrare sotto terra l’ 80%delle emissioni di C02. Intanto, un aiutino può venire dai residui delle vecchie rendite, in particolare quella idroelettrica che il centro studi milanese Ref stima in almeno mezzo miliardo per il 2011. I prezzi dell’energia in Italia restano ancora più alti della media europea, legati al sistema di forniture del gas attraverso contratti take-or-pay legati al barile di petrolio, e perciò tali da far aumentare i prezzi quando sul mercato spot il gas calava del 30%. Un rischio che l’Enel ha fronteggiato fin qui prevendendo la produzione italiana e che, in futuro, potrebbe essere meno facile fronteggiare. Ma nel complesso, la mera funzione produttiva italiana darà un contributo sempre più basso, tendente al 20%, all’Ebitda consolidato. Ormai la multinazionale Enel si prefigge di passare da un Ebitda di 17,5 miliardi a uno 2015 attorno ai 20 miliardi di cui circa 13 fatti all’estero.
Massimo Mucchetti