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 2011  aprile 01 Venerdì calendario

ODISSEA DELLA NAVE DEI MIGRANTI. NUOVI CENTRI A BRESCIA E TORINO —

Era destinata alla Tunisia una delle due navi salpata ieri da Lampedusa con a bordo circa cinquecento migranti. Non a caso sulla «Catania» della flotta Grimaldi insieme agli stranieri sono stati imbarcati circa trecento poliziotti. Un contingente così numeroso nel timore che, una volta scoperta la rotta verso il Paese d’origine, esplodessero le proteste o addirittura una rivolta. Allarme rientrato quando si è scoperto che le autorità tunisine non avevano alcuna intenzione di accettare i rimpatri e si è stati costretti a puntare verso Taranto. È stato questo a far esplodere l’ira del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che invece aveva ricevuto assicurazioni da Tarak Ben Ammar — da lui scelto come negoziatore — sul buon esito della trattativa. L’eventuale via libera di Tunisi poteva rappresentare un segnale politico da spendere nella trattativa con Regioni ed enti locali che dovranno accogliere i migranti. L’ennesimo rifiuto rimette tutto in discussione e questa mattina si torna a trattare con governatori e sindaci. Tra i luoghi individuati dal ministro dell’Interno Roberto Maroni per la sistemazione di chi è senza permesso di soggiorno ci sono l’aeroporto militare di Montichiari in provincia di Brescia dove doveva già sorgere un Cie; una caserma di Padova; un sito a Torino, indicato dal sindaco dal sindaco Sergio Chiamparino. Ma la partita è ancora tutta da giocare. Salpa verso le 12 di ieri la «Catania» . Dalla sera precedente circolano voci sulla possibilità che debba arrivare in acque internazionali e puntare verso il Nordafrica, ma tutti smentiscono. Il negoziato è in corso, si teme che qualsiasi indiscrezione possa farlo sfumare. Il dispositivo è comunque predisposto per la «riconsegna» degli stranieri. E l’ordine è quello di prendere tempo nella speranza che — mentre si è già in navigazione— la situazione si sblocchi. A terra si stanno allestendo i centri per l’accoglienza, strutture provvisorie per ospitare almeno 10.000 persone e lì procedere all’identificazione e poi alle espulsioni. Ma il «nulla osta» non arriva e non bastano le promesse di spedire subito mezzi, apparecchiature e finanziamenti in Tunisia, né gli ultimatum che lo stesso Berlusconi rilancia in mattinata. Al termine del consiglio dei ministri il ministro Roberto Maroni prende atto del rifiuto e convoca — così come accade ormai ogni giorno— l’Unità di crisi del Viminale che gestisce i piani per la sistemazione dei migranti senza permesso approdati a Lampedusa e che devono essere ora smistati in tutta Italia. Intanto la «Catania» vira verso Taranto dove approderà questa mattina per il trasferimento dei migranti a Manduria. Sono dieci i centri che si è deciso di allestire entro le prossime settimane, quattro dovrebbero essere pronti entro domenica. Oltre alla stessa Manduria, che può ospitare fino a 4.000 persone e a Ventimiglia, ci sono Caltanissetta con 500 posti, Santa Maria Capua Vetere con 800 posti, Pisa e Potenza con altri 500 ciascuno. Potrebbe invece essere depennata dalla lista già pronta la struttura prevista a Trapani perché nel sito scelto — questo sostiene il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo — ci sono rifiuti tossici. L’incontro di Maroni con le Regioni si giocherà questa mattina. I primi cinque nuovi luoghi individuati dal Viminale nella lista messa a disposizione della Difesa sono in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio e Marche ma tutti dovranno contribuire ad eccezione dell’Abruzzo. La linea decisa ieri pomeriggio dallo stesso Maroni prevede che venga fornita ad ogni Governatore una lista con tre opzioni e che si proceda d’imperio soltanto di fronte a resistenze che non appaiono superabili. L’obiettivo è «sfollare» Lampedusa entro stasera come si è impegnato a fare Berlusconi, ma non è escluso che i tempi possano slittare, sia pur di qualche giorno. Al Viminale sono consapevoli che soltanto un accordo con la Tunisia per il controllo delle coste africane, che consenta di fermare i barconi in partenza, potrà risolvere l’emergenza. Un patto sul modello libico che però non appare affatto facile da siglare.
Fiorenza Sarzanini