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 2011  aprile 01 Venerdì calendario

Cameron accoglie il ministro in fuga “Ma niente immunità” - Protetto dai servizi segreti inglesi, nascosto dal prodigioso miscuglio di caos e monotonia della periferia londinese, l’ex ministro degli esteri libico Moussa Koussa, il braccio destro di Muammar Gheddafi rifugiatosi in Gran Bretagna dopo essere scappato in Tunisia, sta cominciando lentamente a dischiudere i delicati dossier che ha portato da Tripoli

Cameron accoglie il ministro in fuga “Ma niente immunità” - Protetto dai servizi segreti inglesi, nascosto dal prodigioso miscuglio di caos e monotonia della periferia londinese, l’ex ministro degli esteri libico Moussa Koussa, il braccio destro di Muammar Gheddafi rifugiatosi in Gran Bretagna dopo essere scappato in Tunisia, sta cominciando lentamente a dischiudere i delicati dossier che ha portato da Tripoli. Un colpo durissimo per il raiss, perché l’«inviato della morte» (secondo una raggelante definizione dei ribelli), considerato la mente della strage di Lockerbie, è in grado di svelare strategie, debolezze e alleanze del Colonnello. E dunque di affondarlo. Secondo Goma Al Gamaty, portavoce del Consiglio nazionale di transizione Libico, i documenti del gelido sessantunenne, laurea in sociologia all’Università del Michigan, per quindici anni a capo dell’intelligence del suo Paese, sono decisivi. «È un criminale. Dovrebbe essere giudicato da un tribunale di Bengasi». Ma perché Moussa Koussa, che nel 1980 fu costretto ad abbandonare l’incarico di ambasciatore in Inghilterra dopo aver dichiarato al Times di essere favorevole all’assassinio di due dissidenti libici rifugiatisi a Londra, si è consegnato ai suoi peggiori nemici? Che cosa ha ottenuto in cambio? «Nulla. Si è presentato spontaneamente e non gode di nessuna immunità». David Cameron approfitta della conferenza stampa col premier turco Erdogan per mettere a tacere voci sempre più insistenti che parlano di un accordo. Segreti in cambio della libertà. Una balla, giura il primo ministro. «Le indagini su Lockerbie sono aperte e procedono in maniera del tutto indipendente dal governo. La polizia continuerà a seguire le prove ovunque esse portino». È raggiante. La ferita del 1988 non si è mai rimarginata. E nel 2010 la liberazione di Al Megrahi, considerato l’autore materiale della strage, ha complicato il quadro. Anche i parenti delle 270 vittime del volo Pan Am esultano. «Finalmente sapremo come e perché è stato deciso di ammazzare i nostri cari». La magistratura scozzese chiede di ascoltare Moussa Koussa, mentre il governo di Tripoli perde altri pezzi. Abu Zeid Durad, capo dei servizi segreti, e Mohamed Zwei, capo del Parlamento, lasciano la Libia. Poche ore più tardi è la volta del predecessore di Koussa, Alì Treki. Un terremoto. Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, dopo avere spiegato che gli uomini del raiss hanno già ammazzato mille connazionali, sostiene che il regime sta implodendo. «Ho parlato spesso con Moussa Koussa. L’ultima volta venerdì. Ma non c’è nessun patto. Gheddafi è debole». Possibile. Il capo di Stato maggiore delle forze armate Usa, l’ammiraglio Mike Mullen, è più cauto. «Abbiamo neutralizzato il 25% delle forze di Gheddafi. Ma ciò non significa che sia pronto a crollare». A Tripoli il portavoce del Colonnello, Moussa Ibrahim, dice che l’ex ministro degli Esteri non è altro che un anziano malato. Nel corpo e nella mente. «Gli abbiamo dato il permesso di andare. Questa non è la battaglia di un singolo uomo». Gheddafi parla di una «nuova crociata dei cristiani contro i musulmani». Ha le spalle al muro, «l’anziano malato» che lo ha appena tradito è stato per 30 anni il suo più stretto collaboratore, «un uomo della tenda». C’era Moussa Koussa dietro la strage del DC 10 francese esploso sul Niger nel 1989. E sempre lui, trasformatosi d’incanto in colomba, aveva guidato lo smantellamento del programma nucleare riavvicinando la Libia all’Occidente. Acuto, sfuggente, cattivo, si profondeva in promesse sensazionali che credeva sinceramente di poter mantenere, ormai capace di maneggiare il doppio fondo della sua anima come se appartenesse a due uomini distinti. Negli ultimi mesi i rapporti con il suo leader si erano complicati. Uno dei figli di Gheddafi lo aveva colpito pubblicamente con un pugno. Forse è stato in quel momento che ha deciso di consegnarsi agli inglesi. «Ho rotto col regime». Ora, per la prima volta in vita sua, dovrà fare a meno del comportamento ambiguo e violento da portiere d’albergo intransigente che esige la mancia con un servilismo perentorio da rapina a mano armata.