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 2011  aprile 01 Venerdì calendario

Elogio di Mantovano, una «capatosta» da non far scappare - Questo dimettersi per co­erenza, è tipico di Alfredo Mantovano che è una nota capatosta

Elogio di Mantovano, una «capatosta» da non far scappare - Questo dimettersi per co­erenza, è tipico di Alfredo Mantovano che è una nota capatosta. Quando qualcosa urta i suoi principi, il sottose­gretario all’Interno - ora, ex ­deve reagire. Non c’è santo che tenga. Figurarsi poi se a stargli sul gozzo sono più co­se, come nella vicenda di Manduria. Sarebbe già basta­to a fargli saltare la mosca al naso che dei rifugiati nel cen­tro di accoglienza anziché i 1.500 previsti, ne siano stati minacciati il doppio. Mantovano aveva assicura­to i manduriani ( o mandurie­­si?), che sono anche suoi elet­­tori, essendo deputato della Puglia, che tutto finiva con la prima infornata da Lampe­dusa. E quando un tipo come Alfredo ci mette la faccia è co­me zia Cecilia con la torta di mele: se va buca, ne soffre l’onore. A Manduria è però successo di peggio. Erano at­tesi profughi della guerra libi­ca e sono arrivati invece tre­mila clandestini dalla Tuni­sia. Dunque, il doppio della folla e neanche quella in fuga dalle bombe, ma la solita in­fornata di senza permesso che ha preso Lampedusa per il pattino del bagnino. Tutta gente che, per legge, deve es­sere radunata in centri attrez­zati antifuga, prima di essere rispedita in patria. Mandu­ria invece è un colabrodo. Per molto meno Alfredo avrebbe sbattuto il pugno sul tavolo, terminologia però inadatta a un politico calmo e misurato come lui. Manto­vano è quello che vedete in tv: faccia da sfinge e argo­mentare da tritasassi. Parole pacate, occhi fermi e un erre moscia pugliese che ti don­dola come un’amaca. Questo austero personag­gio sembra uscito dal repar­to «Ragazzi modello» della bottega del Creatore. Nato a Lecce 53 anni fa, non ha nul­la del barocco ghirigorato della sua città. Sotto ogni cie­lo, porta giacca e cravatta con l’aria di un gesuita in bor­ghese. È timoratissimo di Dio, cattolico tradizionali­sta, ratzingeriano ante litte­ram . Si dichiara seguace del «pensiero forte», ossia fonda­to su valori eterni e non tratta­bili. È cofondatore di un’ope­ra che prende appunto il no­me di Dizionario del pensie­ro forte sui cui ha scritto di aborto (contro) e altri temi a cavallo tra etica e diritto. Un bacchettone coi fiocchi. È stato magistrato e lo ha fatto all’antica. Non ha preso cantonate, non ha passato ve­line ai giornali, ha riflettuto prima di condannare. Con questi trascorsi, bacchetta oggi gli ex colleghi che si com­p­ortano all’opposto e abusa­no del potere come il satiro di una vergine. Li ha pubbli­camente rimproverati di im­picciarsi del talamo berlusco­niano anziché agire contro la criminalità, di scrutare avi­di le rotondità di Ruby e chiu­dere gli occhi sul casino che ci circonda. Conservatore com’è,Alfre­do ha scelto di militare pri­ma nel Msi poi in An, all’epo­ca alfieri del passato. Ha de­buttato alla Camera nel 1996 e all’istante - rara avis - ha ri­nunciato alla toga. Sua pro­tettrice fu la concittadina Adriana Poli Bortone, futuro sindaco An di Lecce. Legò su­bito con Fini che poco dopo invece cominciò a litigare con Pinuccio Tatarella, che del medesimo Fini era il cer­vello e della Puglia il ras. Pi­nuccio iniziava a capire che Gianfry era un instabile e ne prendeva le distanze. Alfre­do non fu altrettanto acuto e si lasciò utilizzare. Così, per indispettire Tatarella, Fini nominò Mantovano coordi­natore di An per il Sud, facen­dolo crescere a detrimento dell’altro. Poi Pinuccio morì e Alfredo tornò in sé. Ma ne parliamo dopo. Non vi meraviglierà sapere che Mantovano ha un lato battagliero e donchisciotte­sco. Alle elezioni politiche del 2001, anziché rientrare pigramente in Parlamento col recupero proporzionale, volle sfidare D’Alema nel col­legio uninominale di Gallipo­li. Un combattimento a tu per tu. Confrontato a un lea­der nazionale che l’anno pri­ma era premier , Mantovano divenne a sua volta una star . Fece una bella battaglia, mo­strò la sua oratoria e perse per appena tremila voti. Ma la vittoria morale, andò a lui. Tant’è che il Cav lo volle sot­tosegretario all’Interno nel suo governo 2001-2006. Così abbiamo cominciato a cono­­scerlo: documentato e bacia­pile. È tornato nelle stesse stanze nel 2008 dopo aver sfiorato la poltrona di guar­dasigilli in un testa a testa con Alfano. La «promozio­ne » fallì per il veto di Fini. E qui veniamo alla rottura con il capo. Ci fu quando Gianfry era già diventato an­tifascista, insofferente del Cav, fraterno di Casini e sim­patizzante di D’Alema. Ma non avvenne sul terreno poli­tico. Successe per motivi eti­co- religiosi. Ricorderete che nel 2005 ci furono quattro re­ferendum abrogativi sulla procreazione assistita. Fini, che aveva ormai raggiunto lo stadio evolutivo del laico di tre cotte, si dichiarò per la procreazione artificiale con­tro i pii auspici di abati e mon­signori. Da fedele del gregge del Signore, Alfredo si inalbe­rò. Non poteva sopportare che il suo capo facesse di te­sta sua, influenzando pubbli­camente l’elettorato e con­tro- a suo parere- i sentimen­ti maggioritari del centrode­stra. E allora inaugurò quello che replica in queste ore: ri­mettere il mandato. Manto­vano era all’epoca coordina­tore di An in Puglia. Lasciò bruscamente l’incarico e fu irremovibile. Da allora, non ha avuto più ruoli nel partito. Oggi, è l’oscuro capo della corrente (una ventina di par­­lamentari) di Gianni Ale­manno, sindaco della Capita­le. Per concludere. L’ex sotto­segretario tra poltrona e fac­cia, sceglie la faccia. Se ora non cambia idea, ci molla da soli con gli altri. Quelli con la faccia di tolla e la poltrona at­taccata con l’ossidrica. Ma che ti abbiamo fatto, Alfre­do, per lasciarci orfani?