Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 04 Martedì calendario

DALLA A DI ALGERIA ALLA Y DI YEMEN. ECCO COSA PUO’ SUCCEDER E DOVE


Equilibri.net ha elaborato l’Indice di Stabilità Interna dei Paesi mediorientali e nordafricani, prendendo in considerazione indicatori economici, sociali e politici. Il risultato è un indice, con valori da 1 (Paesi a più alto rischio) a 10 (rischio più basso). Il report approfondito sarà disponibile dalla prossima settimana sul sito della rivista.

Algeria (4,5): A pesare negativamente sono il dato dell’inflazione (5,1%) e quello della disoccupazione giovanile (70%). Le ingenti rendite petrolifere aiutano a rendere la situazione meno esplosiva, nonstante appaia costante la minaccia apportata dalla presenza di organizzazioni terroristiche.

Arabia Saudita (5,1): La ricchezza della monarchia sembra la principale garanzia di stabilità. Gli indicatori economici sono tutti positivi, a parte il dato sulla disoccupazione giovanile, piaga comune a tutta l’area. A livello socio-politico, la rigidità del regime wahabita non consente eccezioni ed è su queste due voci che si potrebbero registrare le più forti frizioni. Gli interessi di molti attori esterni a mantenere la stabilità nel Paese, però, sembrano scongiurare crisi immediate.

Bahrein (5,7): Nessuna problema per i dati economici e quelli politici. Il problema a Manama sembra di tipo religioso e geopolitico, e gli scontri di questi giorni tra la popolazione a maggioranza sciita e la monarchia sunnita potrebbero mettere a rischio il regime. L’intervento dell’Arabia Saudita e delle sue truppe, però, finora è stato risolutivo. Il rischio di instabilità del Bahrain non appare elevato, e più che altro rientra nel confronto regionale tra Iran e Arabia.

Giordania (4,4): Il dato preoccupante deriva da un basso pil pro-capite, alta inflazione (5%), altissima disoccupazione giovanile (66%), bassa età media (22,8 anni), altissima percentuale di rifugiati (più del 7% della popolazione). Nonostante la monarchia hascemita al potere abbia un forte seguito, sono prevalentemente motivi socio-economici a preoccupare.

Iran (3,9): L’embargo commerciale cui è sottoposto ha colpito duramente. La bilancia commerciale risulta nettamente al di sotto di altri paesi esportatori di gas e petrolio nella regione. Importante la diffusione di nuove tecnologie telematiche, che ha portato a un drastico aumento nell’uso di connessioni internet. L’Onda verde del 2009 ha dimostrato la voglia di cambiamento da parte della popolazione, ma il regime - isolato e meno dipendente dalle forze occidentali - può reprimere con facilità le proteste.

Iraq (3,6): Il valore è motivato da indiscutibili minacce endemiche: dalla forte minoranza sunnita (maggioranza in tutti gli altri Paesi del Golfo, escluso il Bahrein) all’altissima corruzione. Le operazioni militari hanno colpito anche le estrazioni petrolifere e di ciò risente la bilancia dei pagamenti e un basso pil pro capite. Il precario livello di sicurezza interna, la bassa età media e l’ alta disoccupazione dipingono un Paese ancora lungi da una piena ripresa post-bellica.

Libano (5,8): Elementi di stabilità risultano essere lo sviluppo di istituzioni democratiche, un’inflazione tenuta sotto controllo e un grado relativamente alto di rispetto dei diritti civili. La situazione politica interna frammentata costituisce comunque un elemento di potenziale minaccia all’ordine.

Siria (3,7): Tutti gli indicatori principali dipingono un Paese estremamente instabile. Il forte incremento dei new media ha permesso una rapida diffusione delle informazioni. La vicinanza politica con paesi come la Turchia e la sua centralità geopolitica fanno sì che, potenzialmente, fattori esterni possano contribuire al mantenimento dello status quo.

Yemen (3,2): Le rivolte di questi giorni si sono moltiplicate in numero e intensità e il rischio di uno scontro interno è sempre più probabile. Tutti i dati raccolti concordano su questa ipotesi. Se non sarà il prossimo regime a cadere, lo Yemen potrebbe diventare uno dei prossimi “failed states”.

Gli altri paesi considerati nella ricerca sono: Egitto (4,4), Emirati Arabi Uniti (6,3), Kuwait (6,3), Libano (5,8), Libia (4,6), Marocco (5,7), Oman (5,5), Qatar (6,9), Tunisia (5,2).