Diego Gabutti, ItaliaOggi 1/4/2011, 1 aprile 2011
DOPO IL COMUNISMO MARXISTA SI SPEGNE IL NAZIONALISMO ARABO
C’è un happy end al fondo delle tribolazioni umane? Mentre il mondo arabo, un regime dopo l’altro, dall’Egitto alla Tunisia, dalla Libia alla Siria, tracolla come a suo tempo, in anni ormai remoti, tracollò l’impero sovietico, torna a farsi viva un’amica che avevamo perso di vista: la fine della storia. A evocarne il fantasma è naturalmente Francis Fukuyama, grande politologo americano, autore diciannove anni fa del best seller planetario Fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli 1992, dove si poteva leggere (e leggendo, convenirne, almeno lì per lì) che l’abbattimento delle statue di Marx-Engels-Lenin in Urss e nell’est europeo segnava il definitivo trionfo dei McDonald’s sulle code per il pane, dei film a luci rosse sul realismo socialista, della finanza multinazionale sui campi di lavoro, della democrazia politica sui negozi speciali per membri della nomenklatura. A lungo rubricato tra i neoconservatori, Fukuyama aveva preso le distanze dalla dottrina Bush quando le cose irachene volsero al peggio (anche le statue di Saddam, precedendo di poco Saddam in persona, erano state abbattute dalla folla come quelle di Marx e dei suoi epigoni quindici anni prima, ma poi l’idillio rivoluzionario finì). Adesso Fukuyama ha ritrovato il suo vecchio ottimismo (come leggiamo in una bella intervista di Federico Rampini apparsa mercoledì su Repubblica) e pubblica un nuovo libro: «The Origins of Political Order, primo volume di un’opera monumentale» che si ripromette «l’analisi delle società umane e dei sistemi politici dalla preistoria ai tempi moderni» e rinnova la profezia: fine della storia, confusione e morte ai tiranni. «Vaste masse», sostiene Fukuyama, «si mobilitano perché non sopportano più di vivere sotto il giogo delle dittature. E quel che vogliono non è molto diverso dalla democrazia intesa in senso occidentale. È il trend di lunga durata che a suo tempo definii come la terza via o terza ondata delle democrazie: quella che ebbe inizio con le transizioni postautoritarie in Spagna, Portogallo e Grecia, poi si trasferì in America latina, infine nell’Europa dell’est. In quei vent’anni in cui il numero delle democrazie triplicò, l’unica parte del mondo che sembrava isolata dal contagio era il mondo arabo. Ora abbiamo la prova che i valori della liberaldemocrazia non appartengono a un solo tipo di cultura». Anche se «la storia è piena d’incidenti, d’imprevisti», quindi è buona regola toccare ferro, le democrazie liberali potrebbero, chissà, essere sul punto di vincere la partita finale dichiarando chiusa per sempre la stagione dei giochi. All’epoca, vent’anni fa, sembrò che Fukuyama avesse fondato una nuova filosofia della storia, e che questa annunciasse le indubitabili meraviglie del nuovo ordine mondiale. Più tardi, quando calò l’entusiasmo dei leader e dei popoli, si pensò invece che il fukuyamanesimo fosse la solita utopia. Gli occidentali e gli occidentalizzati guardavano le stelle cadenti del socialismo piovere giù dal cielo ed esprimevano, tutto qui, un desiderio: benessere, prego, e soprattutto oblìo. Qualcuno insorse. All’idea che la marcia del progresso fosse finita e che lo Spirito Assoluto hegelomarxista si fosse definitivamente incarnato nelle conigliette di Playboy e negli spot pubblicitari così sciagurati da «interrompere l’emozione» dei film di Franco e Ciccio c’era chi diceva no come Vasco Rossi nella canzonetta. Specie le sinistre, prese in contropiede dagli eventi, reagirono male. Scoppiavano in risatine nervose e si fingevano sicure che la storia, via, non sarebbe mai finita. Però era chiaro che le teorie Ufo-robot di Francis Fukuyama stavano convincendo anche loro. Dopotutto la «fine della storia» era il mito fondatore del marxismo e Fukuyama l’aveva rubato proprio al vecchio Karl Marx. Sia Fukuyama che Marx avevano torto, naturalmente: la storia continua, imprevedibile come sempre. Di buono c’è che, dopo il comunismo marxista, forse si sta estinguendo un’altra utopia: il nazionalismo arabo. Per l’estinzione anche dell’utopia fondamentalista la strada è ancora lunga.