Arturo Celletti, A 7/4/2011, 7 aprile 2011
«CI VUOL CORAGGIO A RAPPRESENTARE QUESTA ITALIA. IO CE L’HO»
«Ora sono io a dire basta, sono io a gridare al "regime"... Guarda gli attacchi che mi si sono scatenati contro da quando sono direttore. E una cosa continua. Tam, pim, pam...». Augusto Minzolini abbozza un sorriso dietro il quale si coglie una punta di malinconia. Ma l’espressione cambia subito e anche il tono di voce diventa quasi aggressivo. «Rifarei tutto quello che ho fatto senza alcun tentennamento, senza esitazioni. Rifarei gli editoriali. Rifarei ogni scelta giornalistica. Senza alcun timore né autocritica». Una pausa leggera precede una citazione che sembra quasi studiata. «Qui si sta come nella guerra del Vietnam, nel delta del Mekong. Io? Come il colonnello Kurtz... Ricordi Marlon Brando in Apocalypse Now?». Dietro questa frase a effetto c’è tutta la voglia del direttore di accettare la sfida. E di rispondere al fuoco.
Minzolini, vogliono farti fuori perché dicono che fai politica...
«L’analisi sulla tv è soltanto un alibi. Da quella parte, nel fronte delle opposizioni, manca una proposta politica seduttiva, vincente. Non c’è capacità, non c’è una leadership autorevole, carismatica. E così: il dibattito e le critiche al mio Tg1 servono solo a coprire una carenza programmatica di chi si muove per costruire un’alternariva a Silvio Berlusconi. Una carenza reale e drammaticamente evidente. Una prova? Hanno perso le elezioni anche con Romano Prodi al comando del Paese e con la Rai nelle loro mani. E poi...».
E poi?
«Spesso manca buona fede, spesso manca la capacità di riconoscere al governo i risultati positivi. Pensa alla vicenda libica. L’Italia è riuscita a imporre un comando Nato alle operazioni: perché non si dice? Perché non si scrive? Così non si cresce. Già, le lenti spesse dell’ideologia hanno fatto venire meno a troppi la capacità di leggere la realtà e di capire il mondo che cambia».
Tu quel mondo sai capirlo?
«Non provocare, il problema è serio. Loro hanno sempre esercitato un’egemonia culturale, che ora però è venuta meno nella società e sta venendo meno anche in Rai. Ecco perché c’è questa esasperazione di toni nei miei confronti, ecco perché arrivano a fare cose che sono al di là del bene e del male. Capiscono che la loro forza si sta esaurendo».
Insisto: c’è un errore che ti senti di confessare?
«Non ho sbagliato nulla. Anzi, ho arricchito il pluralismo informativo che in questo Paese è mancato per troppo tempo».
Entriamo nel merito: dicono che hai epurato Tiziana Ferrario per scelta politica.
«Un conduttore legge il gobbo. Che tipo di intervento politico c’è nella lettura di un gobbo? Non inciderebbe di più come caporedattore? Ma il problema vero è un altro: perché se io sposto la Ferrario vado in tribunale, ma se Clemente Mimun (ex direttore del Tg1, ndr) sposta Giorgino non ci va?».
Immagino che tu abbia una risposta...
«Perché c’è un’area che fa il bello e il cattivo tempo in Rai. Che immagina la Rai come una proprietà. Ma oggi la Rai è cambiata, almeno in parte. Una volta entravano solo gli amici dei politici o i loro addetti stampa. Con me sono entrati 18 precari che non ho scelto io e di cui non conoscevo nemmeno l’orientamento politico. Subito in prima linea: due in Libia, uno in Egitto, un altro a Lampedusa... E tutti hanno dimostrato le loro qualità».
C’è un’altra accusa: il calo di ascolti.
«Fesserie. Noi abbiamo aumentato la nostra distanza rispetto al Tg5. Vado a memoria: il mio predecessore ha perso 24 volte la sfida con il Tg5; io, dall’ottobre del2009, solo due. È l’unico dato che conta davvero».
Siamo al secondo piano nella palazzina di Saxa Rubra. Il direttore del Tg1, camicia bianca e giacca blu, è seduto alla scrivania. Ci conosciamo da anni e ci diamo del tu. Ma nonostante tutto Minzolini è diffidente. Riflette sulle do- mande e pesa ogni risposta. È, però, un "faccia a faccia" schietto. Sui temi più scottanti: l’atto d’accusa del comitato di redazione - il sindacato interno - del Tg1 e la querelle infinita sugli 86mila euro di spese con la carta di credito aziendale. Il direttore batte i pugni sul tavolo: «Un giornalista qualsiasi va fuori e presenta un rimborso spese. Se qualcosa non funziona, l’azienda lo chiama subito o aspetta 18 mesi? Con me hanno aspettato 18 mesi. Avrebbero dovuto avvertirmi prima, una semplice segnalazione avrebbe risolto sul nascere questa incomprensione. Invece hanno dato al fronte nemico uno strumento... E comunque: non ci sono viaggi, ne maglioncini di cachemire o bottiglie di champagne. Ci sono solo pranzi e cene di lavoro». Una pausa leggera, quasi telegenica, e poi: «C’è chi vuole usare questa storia dei rimborsi per tenermi sotto schiaffo, ma io non ci sto più. Quei soldi ora li restituisco e metto fine al complotto». Adesso Minzolini reagisce d’istinto. Perché non gli basta la lettera del direttore generale della Rai, Mauro Masi, arrivata nel suo ufficio il 19 marzo. Non gli basta il riconoscimento dell "’assoluta buona fede".
Vogliono farti fuori?
«Tutto era costruito ad arte. E il piano avrebbe anche funzionato, se il 14 dicembre il governo fosse caduto. L’obiettivo? Andare alle elezioni senza il sottoscritto al Tg1».
E ora?
«Quel piano va avanti per inerzia. Ma tutti sanno che io non ho nessuna responsabilità, che tutto finirebbe in una bolla di sapone. ma il consigliere d’amministrazione Nino Rizzo Nervo pone il problema delle conseguenze penali. Si muove subito la cricca. Travaglio scrive un fondo e puntuale arriva l’esposto di Di Pietro. A quel punto, per l’obbligatorietà dell’azione penale, si muove la procura di Roma. Tutto costruito. Anche La Repubblica, che è sempre più un partito e rilancia ogni novità sul suo sito, è parte del complotto».
Direttore, il comitato di redazione del tuo tg ha tirato fuori undossier. Si parla di cali di ascolti, di editoriali sempre pro governo, di...
«Alt, alt, alt. Che un cdr uscente metta a punto un "libro bianco" su due anni di Tgi senza parlarne con la redazione mi sembra lunare, senza logica. I metalmeccanici della Cgil sono più propositivi rispetto a chi ha fatto sindacato a Saxa Rubra in questi anni».
Ti accusano di editoriali tutti pro governo. Li hai mai concordati con il premier?
«Mai. Anzi, più di una volta mi ha chiamato: "Direttore, ma chi te lo fa fare"...».
Già: chi te lo fa fare?
«L’esigenza di verità. Credo che l’immunità parlamentare vada reintrodotta, perché è parte integrante di quella Costituzione che la sinistra considera intangibile. E lo dico. Credo che bisogna lavorare a una responsabilità civile dei giudici, e lo dico. Ecco la mia idea di editoriale: spiego la mia posizione e mi prendo precise responsabilità, poi il telegiornale cammina lungo i suoi binari. Mica come al Tg3, dove c’è un direttore che fa il conduttore e dà un giudizio su ogni servizio che viene mandato in onda. E come se facesse ogni giorno un editoriale lungo trenta minuti».
Mentana ti toglie ascoltatori?
«Ma dai... Io rappresento il baricentro del Paese: Mentana soltanto un’areà. Enrico approfondisce quello che viene detto nel Tg3 delle 19: c’è una relazione tra i due tiggì, e non è un caso che quando sabato e domenica va in onda Che tempo che fa, il telegiornale di La7 passa dall’8 per cento al 4».
Antonio Preziosi, attuale direttore di RaiRadio1, dice che sta studiando per prendere il tuo posto...
«Non basta studiare. Devi avere pure carattere per guidare il primo tg del Paese. E, parafrasando don Abbondio, il coraggio se non ce l’hai nessuno tè lo dà. Voglio essere ancora più esplicito: non si diventa direttore del Tg1 con una genuflessione a sinistra il mattino. una al centro a pranzo e una a destra la sera. E allora mi permetto un consiglio a Preziosi: pensi a Radio1».