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 2011  marzo 30 Mercoledì calendario

Alfieri: mamma mia sta cadendo la Bastiglia - “C arissima Signora Madre - scriveva Vittorio Alfieri da Parigi il 24 luglio 1789 -, abbiamo corsi dei gran pericoli, e viste in faccia molto da vicino tre somme disgrazie di cui basterebbe una sola ad empir di terrore: ed erano la fame, la guerra civile ed il total fallimento»

Alfieri: mamma mia sta cadendo la Bastiglia - “C arissima Signora Madre - scriveva Vittorio Alfieri da Parigi il 24 luglio 1789 -, abbiamo corsi dei gran pericoli, e viste in faccia molto da vicino tre somme disgrazie di cui basterebbe una sola ad empir di terrore: ed erano la fame, la guerra civile ed il total fallimento». Erano passati dieci giorni dalla presa della Bastiglia, l’evento simbolo della Rivoluzione, e lo scrittore non sembrava particolarmente eccitato. Di lì a poco avrebbe composto l’ode a Parigi sbastigliato , fremente d’entusiasmo per la fine della tirannide, e descritto il carcere espugnato con un’immagine dantesca («Loco è in Parigi che in Inferno avria / Pregio più assai: detto è Bastiglia; e dirsi / Me’ dovria Malebolge» - quell’orribile «Me’» sta per «meglio»); per il momento era abbastanza perplesso. «La sola imprudenza del Re - prosegue infatti -, di avere inopportunamente smesso di carica il Sig. Necher, uomo che aveva tutte le fila del governo in mano, ha esposto questo regno a tutte le sopraccennate calamità». La lettera, due facciate in bellissima calligrafia, è un pezzo assai pregiato dell’asta Bolaffi di autografi e libri antichi che si tiene oggi a Milano. E, al di là del fascino particolare dell’oggetto, ci offre uno sguardo dall’interno del cratere della rivoluzione per qualche verso imprevisto. Il riferimento alla destituzione del «signor Necher», in realtà Jacques Necker, sarà per esempio corretto dall’ode, dove Alfieri si esprime in modo piuttosto trionfalistico: «Pria che in ciel la seconda alba sia sorta, / E che al confin sia giunto / L’esul ministro, è tirannia già morta». Necker, banchiere svizzero, fu incaricato da Luigi XVI di rimettere ordine nelle finanze del regno per ben tre volte. Cacciato pochi giorni prima della presa della Bastiglia e richiamato subito dopo, abbandonò definitivamente la scena politica nel 1790. La «tirannia», mentre Alfieri scriveva, era comunque morta davvero. E il tragediografo poteva concedersi, sempre con la madre, la soddisfazione di aver visto giusto, e da tempo: «Ella sa benissimo che da due e più mesi sono adunati gli Stati generali per porre ordine ai tanti enormi abusi di questo governo e levare il popolo dalla orribile oppressione dei signori e dei ricchi, [...] ho visto questo spettacolo in tutta sicurezza: e sempre più ho lodato me stesso di non aver mai voluto in nessuna maniera di servire il re nostro, Asta Bolaffi oggi a Milano C’è anche una fotografia di Primo Carnera, con firma del leggendario pugile, all’asta che si tiene oggi nella sala Bolaffi di via Manzoni a Milano (prima sessione alle 10, seconda alle 15), oltre a un mare di lettere di grandi personaggi, dai Savoia ai Medici a Garibaldi; ma ci sono anche critici e scrittori come Giuseppe Baretti, Melchiorre Cesarotti, Alessandro Manzoni, Gabriele d’Annunzio o Edmondo De Amicis. Brillano di luce propria (base d’asta 12.500 euro) alcuni appunti di James Joyce per le sue lezioni di inglese. Tra i libri, una preziosa cinquecentina veneziana del De architectura di Vitruvio. [M. B.] perché a quell’autorità abusiva, ed enorme dei re, non si può mai onestamente servire, senza essere colpevole, anche essendo innocente». Che è un concetto molto alfieriano, mutuato dai classici. Su questi temi sarebbe tornato ancora, nel Misogallo , dove consumò l’addio al mito di una rivoluzione che stava divorando i suoi figli, ma anche nella Vita , dove annota a proposito delle sue opere che stava stampando a Parigi, «v’aggiunsi l’ode di Parigi sbastigliato , fatta per essermi trovato testimonio oculare del principio di quei torbidi». In fondo, era uno scrittore, ed era questa l’unica cosa che gli interessasse davvero. Sempre nella lettera, dice ancora alla madre: «Io del resto sto bene: lavoro indefessamente alla stampa; ma questo scompiglio ha sovvertito ogni cosa e appena si ricomincia a respirare». Sempre nella Vita , Alfieri confessa che quelli furono per lui giorni terribili. E per un motivo molto semplice: «Dall’aprile dell’anno 1789 in appresso, io era vissuto in molte angustie d’animo, temendo ogni giorno che un qualche di quei tanti tumulti che insorgevano ogni giorno in Parigi [...] non mi impedisse di terminare tutte quelle mie edizioni tratte quasi al fine». Ragion per cui, aggiunge sconsolato, «mi affrettava quanto più poteva; ma così non facevano gli artefici della tipografia del Didot, che tutti travestitisi in politici e liberi uomini, le giornate intere si consumavano a leggere gazzette e far leggi, invece di comporre, correggere, e tirare le dovute stampe. Credei d’impazzarvi di rimbalzo». La rivoluzione sarà anche un’ottima cosa. Ma è meglio che i tipografi se ne astengano.