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 2011  marzo 31 Giovedì calendario

ERRORI E PISTE FANTASMA VENTI ANNI SENZA SCOPRIRE LA PROVA PIÙ EVIDENTE - ROMA

Una macchia sbiadita di sangue chiaro, due centimetri di diametro, sul lenzuolo incrostato di rosso che avvolgeva, come un burqa, il viso stravolto e devastato di Alberica Filo Della Torre. Era lì, a portata di mano e di microscopio, la "pistola fumante", la prova che ogni investigatore sogna di notte, quella che inchioda senza remissione un sospettato a un´accusa da ergastolo. Nessuno l´ha vista per vent´anni. Mentre il pm e i carabinieri si barcamenavano tra intrighi del Sisde, conti cifrati nelle banche svizzere, confidenze pruriginose di improbabili amiche della vittima, le vendette giudiziarie di un´ex amante del marito, il presunto, facilissimo, colpevole, se ne stava buono e remissivo a passare l´aspirapolvere nelle case dei suoi blasonatissimi datori di lavoro, tra cui Luca Cordero di Montezemolo, che oggi sono disposti a giurare sulla sua innocenza.
«Le possibilità di errore sono una su miliardi di miliardi - gongola il colonnello Luigi Ripani, comandante del Ris romano - quel sangue è suo al 100 per cento». Se è così il giallo dell´Olgiata è definitivamente chiuso senza quello strascico di polemiche, dubbi e veleni che hanno accompagnato la condanna a 24 anni di Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni. «Sul test non ci sono dubbi - incalza la pm Francesca Loy, bionda, bella e tosta come un personaggio di Patricia Cornwell - l´abbiamo fatto con le metodiche del 2007 e ha dato 11 punti di contatto che già bastano. L´abbiamo ripetuto con le tecnologie di oggi e ha fornito un risultato certo al 100 per cento». Conclusione di chi indaga: Manuel Winston Reves, classe 1960, oggi cittadino italiano, sposato, due figlie una delle quali porta il nome della contessa assassinata, farebbe meglio a confessare, chiedere il rito abbreviato e prendersi vent´anni di galera che tra sconti e semilibertà si ridurranno a meno della metà. L´avvocato Andrea Guidi traccheggia, tace e rimanda. Winston, dal canto suo, non parla. Non l´ha mai fatto, del resto, neanche quando finì nel mirino assieme a Roberto Jacono (giovane vicino di casa dal passato burrascoso e dal futuro incerto che sembrava molto più plausibile, come sospettato numero uno) e aspettò, per ore di essere interrogato grattandosi quella crosta sul gomito che, secondo la nuova ricostruzione, era il segno della lotta selvaggia e silenziosa con la vittima sulla moquette della stanza da letto. I filippini, tra l´altro, praticano l´Arnis de mano e il Kali, due devastanti arti marziali tutte centrate su colpi ai punti vitali come la gola, ma non è dato di sapere se Winston Manuel le abbia mai conosciute
«La ferita me l´ha fatta il cane del mio datore di lavoro - spiegò Manuel al pm di allora, Cesare Martellino - ero andato a dar da mangiare a lui e alla tartaruga, poi ho fatto un giro in motorino e ho incontrato anche il figlio del padrone della villa dove faccio le pulizie». Bugia palese, secondo chi indaga, perché il ragazzo quel giorno era fuori Roma. Niente alibi, un movente grosso come una casa, anzi due: soldi e rancore: il filippino aveva un debito con la contessa, chiedeva sempre denaro ed era stato licenziato. E, adesso, quella "pistola fumante" che nessuno ha visto per vent´anni tanto che nel 2007, la procura chiese una nuova archiviazione e ci volle tutta la testardaggine dell´avvocato Giuseppe Marazzita, degno figlio di tanto padre, per ottenere nuovi accertamenti. Tutto quadra, almeno in apparenza. Resta solo da chiedersi che fine hanno fatto i gioielli: il topazio da 120 milioni e la collana d´oro dono dell´ex agente del Sisde Michele Finocchi, un segno di gratitudine per aver arredato un appartamento accompagnato da un biglietto ironico, da vecchio amico scanzonato: «Spero che con questa ti ci strozzi».
Un presunto colpevole che se n´è rimasto tranquillo per vent´anni, facendo la spola tra Italia e Filippine dove potrebbe scomparire per sempre (questo il motivo per cui chi indaga si è affrettato a metterlo sotto chiave). Oggi tutti cantano vittoria ma quella macchia numero 51 che ha inchiodato Manuel Winston sembra, obbiettivamente, il pugno della domenica di un pugile alle corde che stende l´avversario prima del gong. La conclusione imprevista di un´inchiesta satura di sviste e di veleni, sospetti al vetriolo, rivelazioni fasulle: dall´imprenditore cinese Franklin Young alla baby sitter inglese Melanie Uniacke che dopo essere stata interrogata per giorni e giorni a Roma, tornata in patria, si vide arrivare addosso tutto il truppone degli investigatori al completo per un nuovo, incomprensibile, colloquio. Scartati gli inevitabili e doverosi accertamenti sul marito Pietro Mattei e la pista di Roberto Jacono (che per lo stress finì in clinica) gli inquirenti decollarono sulla rotta dell´intrigo internazionale e non tornarono più a terra. Lui, Winston, sempre lì, buono e zitto, a vivere la sua piccola vita: sposarsi, fare figli, lavorare. Adesso, in galera, tace e aspetta con fatalismo incrollabile o incomprensibile fiducia. «Scosso ma sereno» lo definisce l´avvocato Guidi, quasi altrettanto taciturno. Forse a casa Mattei da stanotte si dorme meglio, magari nel ricordo di quell´indovino che, durante un viaggio in India, predisse spietatamente che Alberica sarebbe morta giovane. Lui, almeno lui, aveva visto giusto.