Paolo Tomaselli, Corriere della Sera 31/03/2011, 31 marzo 2011
IL COACH DELLA MENTE FA VOLARE I CALCIATORI —
Ma dove vai, se il mental coach non ce l’hai? Il calcio gira in fretta, le squadre vivono sull’altalena dei risultati e i giocatori si attrezzano (da soli) per rafforzare gli anticorpi: l’allenatore mentale sta diventando un fattore ombra nel nostro pallone di serie A e B. Un censimento è difficile, perché non tutti gli atleti (e i mental coach) ne parlano volentieri, ma qualcosa si muove: almeno una cinquantina di calciatori lavora con chi riesce a migliorare il loro rendimento. Perché motivazioni, concentrazione, autostima e gestione dello stress fanno la differenza. Concentrarsi sull’obiettivo Non tutti sono come Michael Phelps, che si scrive le imprese da compiere, appende il foglietto sul frigorifero e le porta a termine. La prima domanda quindi è: cosa fa un mental coach? «Aiuto l’atleta a tirar fuori il meglio da sé— spiega Roberto Civitarese, che lavora con diversi calciatori tra A e B, tra cui Bonazzoli e gli under 21 Caldirola, Saponara e Borini — e per fare questo fornisco degli strumenti ben precisi per un allenamento quotidiano sulla propria testa. Utilizzo tecniche della Pnl (la programmazione neurolinguistica) applicate al calcio, lavoro cioè su tre aspetti: il focus, il linguaggio e la fisiologia. Fissiamo un obiettivo con il giocatore e ci concentriamo su ciò che bisogna cambiare per ottenerlo. I ragazzi si dimostrano molto ricettivi: per tutti ci sono sempre margini di miglioramento» . Sostegno ai giovani L’allenatore della mente non è uno psicologo. E anche per questo è accettato con più facilità dai giocatori: «Ma i ragazzi chiedono persino a noi se sono malati — racconta Vittorio Tognazzi, l’anno scorso al Milan Primavera con l’allenatore Stroppa —. In una decina di anni ho seguito un centinaio di giocatori, ora lavoro stabilmente con una ventina. Cerco di mettere a disposizione una cassetta per gli attrezzi con l’obiettivo di migliorare i risultati. Un allenatore una volta mi ha detto: "Le motivazioni le hanno già". Ma proprio per questo vanno allenate, come la tecnica. Perché specialmente i più giovani hanno bisogno di un sostegno» . Allenare un allenatore Livio Sgarbi è uno dei pionieri: è in pista da 23 anni, ha una formazione aziendale e ha lavorato con atleti di molti sport, soprattutto individuali. Nel calcio ha collaborato fra gli altri con Frey, Iaquinta, Ancelotti e Gregucci. Oggi segue un allenatore, Gianluca Atzori della Reggina: «Lo sento prima di ogni partita — racconta — e lavoriamo sui concetti che possono toccare le leve motivazionali della squadra. In genere non uso solo la Pnl, ma tutto quello che può servire, come ad esempio la meditazione dinamica o l’ipnosi. Negli sport individuali il mental coach è una figura accettata da anni, nel calcio ci sono ancora delle resistenze ma sta prendendo piede. I giocatori spesso sono giovani e sensibili: sono "scentrati"e quindi non rendono come potrebbero. Lavorare sulla testa fa la differenza, anche perché dal punto tattico e tecnico non c’è più molto da inventare» . Una squadra motivata La Reggina è un caso da studiare: oltre all’allenatore ci sono almeno quattro-cinque giocatori che hanno il loro mental coach: «Per prima cosa Civitarese mi ha chiesto quale fosse il mio sogno — racconta il portiere Christian Puggioni, 30 anni —. Io gli ho risposto: "Il Real Madrid" e lui mi ha detto "lavoriamoci". L’ho preso per matto, ma lui mi ha fatto capire che già così mi mettevo dei limiti. La verità è che il calcio ti porta a ragionare in negativo: non ho mai sentito uno dire «domani si vince» . Io sono cambiato, anche fuori dal campo. Prima mi cuocevo alla vigilia delle partite, ora sono tranquillo, vivo meglio e mi sento un trascinatore: l’anno scorso al Piacenza sono stato il secondo miglior portiere della B dietro a Sereni del Torino, ora ho l’obiettivo di tornare in A con la Reggina» . Rendere il 70%in più Anche Matteo Rubin, terzino 23enne del Bologna dal rendimento in costante crescita, parla con notevole entusiasmo dei suoi nuovi orizzonti: «Sono meno stressato, più tranquillo e riposato perché mi alleno quotidianamente a visualizzare i movimenti e alla fine so già quello che devo fare in campo. In più per me ogni allenamento con la squadra è come se fosse una partita: ci metto la stessa intensità. Il mio rendimento da ottobre è migliorato molto. E di questa crescita il 60/70%del merito va al nuovo lavoro mentale. Anche fuori dal campo la mia vita è cambiata: sono sempre sorridente e non vivo più le esperienze in modo negativo. So che raggiungere i miei obiettivi dipende unicamente da me» . La chiave giusta Igor Protti, capocannoniere della serie A nel 1996, è stato uno dei primi a lavorare sulla propria testa, con Livio Sgarbi nel 1999 ai tempi della Reggiana: «Fu una sorpresa straordinaria e capii subito che non si trattava solo di parole, ma c’era una corrispondenza quotidiana. Come c’è l’allenamento atletico ci deve essere quello mentale: ogni stagione ha mille aspetti e trovare la chiave giusta non è così automatico. Per un attimo ho pensato anch’io di fare il mental coach. Ma bisogna essere portati. Comunque è fisiologico: ce ne saranno sempre di più» . Quel biglietto nel portafoglio Alessandro Ballan, campione del mondo di ciclismo 2008, da un paio di mesi lavora con Alberto Ferrarini, mental coach di Leonardo Bonucci che anche grazie a lui è passato dalla retrocessione in C col Pisa al Mondiale sudafricano, fino alla Juve: quando (non) giocava nel Treviso, Bonucci scrisse un biglietto da conservare nel portafoglio: «Voglio arrivare in nazionale» . E attraverso un percorso quotidiano e velocissimo ci è arrivato. «Ferrarini non vuole parlare, preferisce far volare i suoi atleti— spiega Ballan—. Io l’ho conosciuto un paio di mesi fa e passo diverso tempo con lui, in sessioni lunghe fino a 6 ore. Mi sento cambiato. Parliamo di tutto e lavoriamo principalmente sull’autostima: adesso anch’io sto cambiando il mio modo di vedere le cose e i risultati si vedono» . Con i libri a bordocampo Multidisciplinari, adorati dai loro atleti, dotati di una personalità trascinante, (con) vincenti: i mental coach sono gli unici allenatori nel calcio di oggi che non hanno paura del fallimento. Anzi sono i primi, nel caso, ad aiutarti per superarlo. E i loro libri (tra questi, «Gioco di testa» di Civitarese, «Istruzioni per vincere» di Sgarbi, «La motivazione» e «Il coraggio di essere» di Tognazzi,) fanno ormai parte dei ferri del mestiere di tanti calciatori. Almeno di quelli che vogliono cominciare sul serio a mettere la testa a posto.
Paolo Tomaselli