Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 30/03/2011, 30 marzo 2011
SE IL GENERALE GARIBALDI AVESSE PERDUTO A CALATAFIMI
Molte voci si levano dal Sud dell’Italia per dire che l’Unità del nostro Paese non ha portato i vantaggi sperati, ma più che altro sfruttamento, e quindi era meglio non farla. Non si può prevedere che cosa sarebbe successo se gli avvenimenti si fossero svolti in altro modo. Possiamo affermare tuttavia che, all’epoca, le popolazioni del Sud erano sottomesse ai Borboni e alla nobiltà locale; a questo giogo dovrebbe essere aggiunto probabilmente quello dei briganti che, se fossero riusciti a respingere l’esercito piemontese, avrebbero avuto la tentazione di accordarsi con il potere, diventandone la lunga mano. Le condizioni del Sud sarebbero oggi migliori? Credo sia proprio difficile poterlo sostenere.
Giorgio Mazzola
giorgio. mazzola@live. it
Caro Mazzola, la storia ipotetica o controfattuale (la «storia con i se» ) è soltanto un divertente gioco intellettuale o tutt’al più un esercizio accademico per meglio individuare le molteplici facce e potenzialità di qualsiasi evento. Ma qualche giorno fa, nel corso di una conversazione sul 150 ° anniversario alla radio svizzera di Lugano, uno storico italiano, Claudio Visentin, mi ha chiesto che cosa sarebbe accaduto se Garibaldi, dopo lo sbarco in Sicilia, fosse stato sconfitto a Calatafimi. Ho deciso di stare al gioco e ho provato a immaginare uno scenario che risponde almeno parzialmente alla sua domanda.
La sconfitta avrebbe stroncato sul nascere la spedizione garibaldina. Cavour, che si era comportato sino ad allora con grande prudenza, avrebbe chiesto alle navi dell’ammiraglio Persano di tornare a Genova e si sarebbe accontentato di ciò che il Piemonte era riuscito a realizzare dopo la guerra franco-italiana del 1859 e l’insurrezione nei Ducati dei mesi successivi. Da quel momento vi sarebbero stati nella penisola, accanto al Veneto austriaco, tre Stati italiani: quello dell’Italia centro settentrionale, quello dei Borbone al Sud e quello pontificio al Centro. I successori di Cavour avrebbero cercato di allargare il Regno al Veneto e vi sarebbero riusciti probabilmente grazie all’Alleanza con la Prussia di Bismarck, come effettivamente accadde nel 1866. Ma negli anni seguenti avrebbero pensato soprattutto al consolidamento del giovane Stato, al pagamento dei debiti di guerra, alle riforme monetarie, fiscali e tariffarie di cui il Paese aveva bisogno per meglio inserire la sua economia in quella dell’Europa centro-occidentale.
È molto probabile che il divario fra il Centro-Nord e gli altri due Stati della penisola si sarebbe progressivamente allargato. Il primo sarebbe stato meno mediterraneo e più mitteleuropeo di quanto sia stata l’Italia unitaria, e non avrebbe avuto velleità colonialiste. Non è escluso che questo diverso percorso avrebbe contribuito alla nascita nel Paese di una cultura neutralista simile a quella della Svizzera. Ma vi sarebbe stata pur sempre, nella società del Nord, una corrente risorgimentale desiderosa di completare con la conquista di Roma l’opera interrotta nel 1860.
Avremmo potuto continuare la conversazione, caro Mazzola, cercando di immaginare che cosa sarebbe accaduto dello Stato papale e di quello dei Borbone. Ma la trasmissione stava per finire e abbiamo dovuto rinviare il seguito a una prossima occasione.
Sergio Romano