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 2011  marzo 30 Mercoledì calendario

PER L’ITALIA FORNITORI DI ENERGIA ALTERNATIVI MA CON COSTI EXTRA

Pochi problemi sia per le forniture di idrocarburi all’Italia che per i conti del gigante Eni, se la crisi si risolverà entro un paio di mesi. E un warning energetico per il nostro Paese sarà evitato – dicono gli analisti – anche in uno scenario più problematico, con tutto il 2011 a secco di petrolio e metano libico. Ma in questo caso l’Eni comincerà inevitabilmente a patire.

C’è di buono, per la sicurezza energetica dell’Italia, e in parte anche per l’Eni, che quell’onda lunga della crisi globale che ha depresso la richiesta europea di prodotti petroliferi si fa ancora sentire. Il mercato, specie quello del gas, continua ad essere "lungo". Tant’è che nelle settimane precedenti la rivolta di Tripoli ci si domandava addirittura dove mettere tutta la capacità aggiuntiva che nei prossimi anni dovrebbe venire dal nuovo gasdotto Algeria-Italia "Galsi" da 10 miliardi di metri cubi l’anno, da aggiungere ai tubi che faranno capolino da Oriente (Nabucco, South Stream) e ai futuri rigassificatori italiani in lista d’attesa.

Buon per l’Eni, che riesce a tamponare, almeno per ora, lo sconquasso di una Libia da cui ricavava, attraverso joint integrate di produzione in loco, oltre il 10% del suo gas e poco meno del 25% del suo petrolio, per un totale di 280 mila Boe (barili equivalenti) al giorno, spartiti per quasi il 60% nel gas e per poco più del 40% in petrolio. Per sostituire gli 8 miliardi di metri cubi di gas libico tagliati con la chiusura del gasdotto Greenstream l’Eni ha perfino risolto un problema su un altro versante, riattivando quasi 6 miliardi di prelievi su base annua dalla Russia, impegnati con i contratti pluriennali take or pay ma non ritirati (ma da pagare comunque, almeno in parte) proprio in conseguenza della contrazione congiunturale dei consumi. Un miliardo di metri cubi sostitutivi viene poi dall’Algeria, il resto dalla Norvegia. Senza tanti problemi neanche sul fronte dei prezzi, vista la almeno parziale compensazione del "ripristino" dei take or pay russi.

C’è poi da dire che proprio nel gas (ma solo nel gas) l’attività di estrazione in Libia continua, per una quota valutata dagli uomini Eni in circa il 30%. Si tratta comunque di gas "bloccato" nel Paese, buono – chiariscono all’Eni – per alimentare le centrali elettriche locali. Diverso, certamente più oneroso ma difficilmente quantificabile, l’extra-onere per compensare la mancata estrazione-import di petrolio libico. L’Eni rastrella il necessario nel mercato spot tipico di questo settore, con extracosti determinati dall’aumento delle quotazioni del periodo, che d’altro canto premiano le attività di upstream Eni in giro per il mondo.

Crisi tutto sommato tamponata per l’Eni anche sul fronte finanziario, confermano gli analisti. Che però pronosticano una penalizzazione consistente qualora lo scenario "tampone" diventasse più strutturale: se il blocco libico dovesse protrarsi per l’intero 2011 i maggiori istituti di analisi assegnano al gruppo una contrazione dell’Ebit tra il 9% (Credit Suisse) e l’11% (Mediobanca).

Certo, in caso di crisi lunga anche lo scenario globale sugli approvvigionamenti italiani si farebbe più problematico. Con un inevitabile warning da combinare con l’altra grande incognita energetica: la crisi del nucleare innescata dal disastro giapponese.

Ed ecco che riaffiora qui da noi, complice l’incognita sul futuro del piano di rientro nel nucleare, il dibattito sull’opportunità-dovere di sbloccare le nostre timidezze nell’estrazione di petrolio e gas nazionali. Specie nell’offshore qualcosa si muove, ma con le solite contrapposizioni all’interno stesso del Governo. Il ministero dello Sviluppo preme. È già in pista il primo decreto attuativo dello "sblocca upstream" pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 21 marzo, che introduce una certificazione per le società di esplorazione ma prevede anche autorizzazioni più rapide. Tutto dovrà però passare dal setaccio del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, ancora asserragliata sui provvedimenti che invece chiudono ulteriormente i margini delle operazioni petrolifere italiane, specie in mare.