ANDREA MALAGUTI, La Stampa 31/3/2011, 31 marzo 2011
Il principe Harry a piedi nell’Artico - Il campo base per l’ultimo mese d’allenamento, gli uomini di «Walking with the Wounded», la fondazione che si occupa di dare assistenza ai soldati inglesi feriti in guerra, l’hanno fatto nelle isole Svalbard
Il principe Harry a piedi nell’Artico - Il campo base per l’ultimo mese d’allenamento, gli uomini di «Walking with the Wounded», la fondazione che si occupa di dare assistenza ai soldati inglesi feriti in guerra, l’hanno fatto nelle isole Svalbard. Il Polo Nord, l’obiettivo del loro viaggio, è 320 chilometri più in là. Per raggiungerlo, se non si vuole crepare, bisogna muoversi per 14 ore al giorno, appoggiando gli sci sulla distesa scomposta del mare glaciale artico dove, a mezzanotte, il sole è ancora piantato in mezzo al cielo e le temperature piombano a quaranta gradi sotto lo zero. L’orizzonte bianco fa paura. Ci vogliono quattro settimane di cammino per arrivare al traguardo. Bisogna essere forti. Fisicamente e mentalmente. E non avere paura di niente. Del freddo, dei miraggi, della fatica, soprattutto degli orsi. Quelli adulti pesano fino a 900 chili e se hanno fame attaccano l’uomo. Sono alti fino a tre metri e mezzo. «Animali meravigliosi, prima di sparare a uno di loro dovrei sentire le sue unghie piantate sulla pelle», spiega il capitano Martin Hewitt. Ha 29 anni ed era un paracadutista. Gli hanno sparato nel 2007, in Afghanistan. Il colpo gli ha fatto saltare un pezzo del braccio destro che ora è completamente paralizzato. Quando l’hanno rimandato a casa lui ha detto solo: «So che non è finita». Adesso gli occhi gli si stringono in fessure da cecchino mentre racconta perché si trova qui, ai confini con la fine del mondo. Ha i capelli neri, a spazzola, il braccio legato al collo, indossa una tuta arancione capace di isolarlo termicamente a qualunque temperatura. «Ho sentito parlare di questa spedizione più di un anno fa. Militari feriti in guerra che volevano andare al Polo Nord. Loro, per primi. Non per orgoglio. Non per entrare nel Guinness dei Primati, ma per dimostrare che neanche l’inferno è più forte della volontà di un uomo. Che anche senza un braccio, o una gamba, si può affrontare l’estremo, combattere e vincere. C’è sempre una via d’uscita». Il vento gli taglia la faccia. È come se non lo sentisse. «Raccoglieremo due milioni di sterline, li daremo a colleghi più sfortunati di noi». Ieri mattina, nelle Svalbard, è arrivato anche il Principe Harry. È lui, 26 anni, ex cadetto dell’Accademia Militare Reale di Sundhurst, il garante della fondazione. Ha cercato due volte di andare a combattere ad Helmand. Gliel’hanno vietato. Bersaglio troppo grosso. Avrebbe messo in pericolo altre vite oltre la sua. Per i primi cinque giorni della spedizione si unirà ai sei uomini che cercano l’impossibile. Sono due guide e quattro ex combattenti, tutti mutilati, che dovranno trascinare slitte da cento chili e portare in spalla il fucile. «Ho un’ammirazione sconfinata per questi ragazzi. È un privilegio dividere con loro una parte del viaggio». Lo infilano nella tuta arancione, lo abbracciano, poi lo scaraventano in una pozza piena di acqua ghiacciata. Fa parte dell’allenamento. «Vorrei essere io a piantare la bandiera al Polo». Alle selezioni si sono presentati cento uomini. I quattro rimasti sono qui. Rob Copsey, 39 anni, ha perso una gamba in Ruanda, nel 1994. È saltato su una mina antiuomo. «Sono il più vecchio del gruppo, ma non intendo mollare di un millimetro. Sono qui per sperimentare la resistenza della protesi. C’è sempre qualcosa da migliorare. Ma questi aggeggi sono una grande invenzione». L’appuntato Matt Kingston e il tenente Guy Disney si infilano sulle spalle uno zaino da venti chili e abbassano il cappuccio. «Vogliamo abituarci al freddo, quello che troveremo nei prossimi giorni sarà molto più cattivo». Hanno entrambi una gamba amputata sotto il ginocchio. Kingston ha 25 anni e lo chiamano «Pie Man» perché passerebbe la vita a mangiare. «Sono qui per perdere peso. Non c’era un modo migliore di questo. Lo giuro». Raggiunge il gruppo che ha ricominciato ad allenarsi. Sono dei matti. O forse degli eroi. In ogni caso sono. E vogliono riprendersi la vita, anche i pezzi saltati per aria, affrontando quattro settimane di viaggio maledetto nella spaziosa potenza di una notte che non diventa mai buio.