Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 31 Giovedì calendario

Kratochvilova Jarmila

• Golcuv Jenikov (Repubblica Ceca) 26 gennaio 1951. Primatista mondiale degli 800 metri: 1’53”28 il 26 luglio 1983 a Monaco di Baviera. Oro dei 400 e 800 metri ai mondiali dell’1983, argento con la staffetta 4x400 agli stessi Mondiali e nei 400 alle Olimpiadi del 1980 • «Uno cinquantatré e ventotto. Uno dei tanti record prima della caduta del muro. Lo stabilì sugli 800 metri, il 26 luglio del 1983 a Monaco di Baviera, Jarmila Kratochvilova. È il più vecchio primato dell’atletica leggera. La dizione inglese rende ancora più “pesante” la sua presenza: “incumbent’. Incombente [...] Ci sono dei record che vanno via come il pane dal fornaio: quello dei 100 maschili non si fa a tempo a fermarlo sugli almanacchi (figurarsi su Wikipedia) che qualcuno l’ha già ritoccato. Oppure quello dell’asta femminile, che per colpa della Isinbayeva sembra l’oscillazione di un valore di borsa. Ci sono record che traballano come le asticelle che li determinano (l’alto femminile) o che spesso si dimenticano perché la storia dei concorsi (disco, peso, giavellotto, martello) ha meno presa sulla gente. Ma ci sono anche record del mondo cristallizzati, messi in bacheca, protetti, inavvicinabili come “La Gioconda” al Louvre e misteriosi almeno altrettanto. Jarmila Kratochvilova era una “portaerei” cecoslovacca che correva come una gazzella malgrado la sua muscolatura da effetto speciale, da sollevatrice di pesi. Riusciva nonostante il suo fisico esplosivo ad essere persino rapida a terra, dove pure faceva i buchi. Non bella. Sicuramente efficace. Una donna speciale: i genitori l’avevano allevata al culto dello sport di stato (la famiglia proveniva del paesino Golcuv Jenikov), ma senza una direzione precisa. Jarmila si è costruita lentamente. Tanto lentamente che soltanto a 30 anni, pur avendo vinto poco (un argento a Mosca e due ori mondiali a Helsinki), è diventata il gigante con il quale la storia dell’atletica continua ancora a fare i conti. Dicevamo i misteri: quegli 800 metri di Monaco in realtà nascevano come una prova transitoria, così, tanto per non stare ferma. Aveva avuto un paio di infortuni, non seri, ma in sequenza, e soprattutto nel giro di 10 giorni abbassò anche il record del mondo dei 400 (47”99, poi stracciato dalla Koch). Partì, arrivò, fu un attimo. Una lunga, praticamente infinita progressione. Il contrario esatto di come si consiglia oggi di correre gli 800 metri. Di fatto quella corsa, che si chiuse con il record del mondo, 1’53”28, non si è ancora conclusa. Intorno a quel doppio giro di pista si stanno ancora agitando i fantasmi del doping: l’ultima “spy story” risale al 2006, quando la Reuters rintracciò alcuni documenti in cui sembrava “possibile” che i medici della federazione cecoslovacca, si presume in pieno accordo con tecnici e atleti, somministrassero alle star nazionali di molte discipline dosi di nandrolone, norandrosterone e stanozolol: “Non abbiamo mai fatto uso di doping”, continua a ripetere Jarmila che dopo aver cessato l’attività agonistica ha continuato a lavorare in federazione [...]. Ma niente emerge dall’implosione dell’atletica dell’Est e quel record, quei record, quei tempi rimangono inattaccabili. “Eppure io ancora mi faccio delle domande”, dice il professor Vittori, che ogni anno, a cavallo fra ’79 e ’84, fra marzo, aprile e maggio, ospitava Jarmila nel centro tecnico di Formia, dove la cecoslovacca scendeva per rifinire la propria preparazione: “Era un armadio, aveva dei muscoli da pesista eppure in tanti anni non l’ho mai vista fare un solo esercizio di potenziamento”. Altro che Codice da Vinci. Le trame dell’affare Kratochvilova, i suoi intrecci fascinosi e drammatici, rimangono intatti, forse irrisolvibili: “Ricordo la povertà del suo metodo di allenamento - prosegue Vittori - si allenava da sola, sempre da sola, e per cinque giorni alla settimana, per due sedute al giorno, eseguiva fino a 40 ripetute alternando 60/80/100 metri, in tempi relativamente bassi per una capace di correre i 400 in 47”99 (8” sui 60, 10”5 sugli 80 e 13”2 sui 100, tempi di uno che corre in 53”, ndr). Uno sfinimento il solo vederla. Poi il sabato, 8 ripetute sui 300 a 38”. Fuori da qualunque logica. Mi chiedevo come potesse resistere”. Con uno schiaffo alla modernità incalzante delle metodologia (già allora si lavorava per combinare quantità e qualità dell’allenamento), lei e i suoi tecnici persistevano nella strategia del mulo: pista, pista, pista: “Ma allora da dove venivano tutti quei muscoli?”, si domandava Vittori. “Li ho sempre avuti”, si difende Jarmila, abituata a sentire l’odore dei cacciatori di doping. “Posso soltanto dirvi, a proposito dei suoi muscoli - dice ancora l’ex tecnico di Pietro Mennea - che quando la incontrai nel ’93 a Helsinki mi prese un colpo. Non la riconobbi. Passai davanti al lettino per i massaggi e vidi una tizia macilenta, con l’aria stanca, gli occhi bassi. Era lei. Aveva smesso da parecchio tempo ed era, letteralmente, un ectoplasma: aveva perso tutto. Ho pensato anche che fosse malata”. Invece era solo un’ex campionessa. Schiacciata dal peso del più vecchio record del mondo dell’atletica leggera: il suo» (Enrico Sisti, “la Repubblica” 27/7/2008) • «Ci sono minuti così veloci che non si scansano più. Stanno lì, conficcati nel tempo, indigesti a tutti. L’uno cinquantatré e ventotto di Jarmila Kratochvilova sugli 800 metri dura dal 1983. Nessuno lo sfiora [...] È il record mondiale più resistente dell’atletica. Il segno che anche nel passato si viaggiava nel futuro. C’era ancora il muro, c’era anche la Cecoslovacchia, Bohumil Hrabal aveva già scritto “Treni strettamente sorvegliati”, Milos Forman, nato anche lui a Caslav, aveva già girato “Hair”, il marchio Bata non era stato ancora fondato, Alexander Dubcek pagava la Primavera di Praga facendo il manovale, Martina Navratilova aveva già chiesto il passaporto americano. Un’altra epoca, l’insostenibile leggerezza dell’essere non era ancora manifesto di vita e libro. Tutto pesava, anche i muscoli, impastati all’est, di Jarmila. Solo il nome metteva paura: Kratochvilova. Il suono di chi stritola, come i carri armati e i trattori. La chiamavano l’armadio, la portaerei cecoslovacca, a sottolineare un fisico non gentile, esasperato dal doping, mai ammesso. C’è anche chi scrisse: il suo corpo è una provocazione. “[...] Io gareggiavo 3 volte l’anno, le atlete di oggi 25. Hanno lepri che fanno il ritmo. Per me le uniche lepri erano quelle a cui sparavo [...] Ero e resto una ragazza di campagna. Sono nata a Golcuv Jenikov, non mi sono mai allontanata da qui, anche se ho avuto molte offerte. La mia è una famiglia contadina, siamo una cinquantina, tra genitori, zii, cugini, nipoti, c´è sempre qualcosa da fare, compreso lo sci di fondo. Mio padre era poliziotto, mia madre addetta in una cooperativa agricola. I muscoli me li sono fatti in campagna, non in palestra. Ho iniziato tardi a fare atletica, a 17 anni, l’insegnante di sport, che era russo, si è accorto che battevo gli uomini e così mi ha detto di provare a correre seriamente. Ma non andavo, non facevo risultati, ero una delle tante. Mi allenava Miroslav Kvac, comandante dell’esercito, aveva studiato a Mosca. Non è che gli si potesse dire: non mi va di venire al campo, come usa oggi”. La Kratochvilova era lo Stakanov dello sport. Si diceva che si allenasse da sola anche a Natale. “Anche il 31 e il primo dell’anno, se per questo. Ma non è che morivo dalla voglia di andare lì e fare il mulo. Se però saltavo un lavoro il giorno dopo recuperavo. Non potevo smettere di pensare: e mentre io scanso la fatica, a Rostock c’è Marita Koch che si allena il doppio. Così la contentezza per il riposo era sostituita dal senso di colpa”. Già, la tedesca est Koch, 31 record del mondo migliorati. “Era la mia grande avversaria, ma non ci siamo mai frequentate. La Ddr e l’Urss erano il massimo dell’antipatia, le loro atlete non salutavano, né stringevano mani. Avevano un solo imperativo: vincere”. Nell’83 i dieci giorni che sconvolsero il mondo. A 32 anni Jarmila strabatte due record del mondo negli 800 e 400 metri con 1’53”28 e con 47”99 , che due anni dopo sarà stracciato dalla Koch. “Era un miracolo e un privilegio andare all’estero a quei tempi. Così quando ci autorizzarono per il meeting di Monaco, quel 26 luglio, io ero contenta. Dovevo gareggiare nei 200, ma avevo i crampi alla gamba destra, e il coach optò per gli 800, meno veloci e pericolosi. Era la terza volta in vita mia che li correvo. A 30 metri dal traguardo vidi il cronometro e pensai: è guasto. Poi non sapevo se crederci, non mi ero accorta di strapazzare il mondo. Non ci fu festa, la federazione mi premiò con 12mila corone, circa 450 euro, e mi abbuonò il dovermi presentare ogni giorno alla fabbrica tessile dove lavoravo da impiegata. È tutto quello che ho guadagnato con l’atletica. Né casa, né auto. Per questo dico che oggi ci sono troppi impegni, troppi soldi e pochi record. Io ci ho messo 16 anni per arrivare a quel primato”. Jarmila nell’83 è invitata in America. “Andai a Los Angeles, all´università di Ucla. Non avevo mai visto sei corsie in autostrada, le auto con il cambio automatico, così tante facilitazioni per l’allenamento. Quando ero in campo la gente si alzava per applaudirmi, mi rispettavano. Ma ai Giochi di Los Angeles non ci arrivai. L’Urss decise il boicottaggio, ero su un treno, di ritorno da una seduta di fisiatria, quando seppi dalla radio la notizia: anche la Cecoslovacchia si ritirava. Mi costrinsero a scrivere una lettera sotto dettatura per i giornali: ero contenta di non andare in America, paese pieno di smog, inquinato, dove noi dovevamo temere attentati alle nostre vite. Qualche mese prima una tv americana era venuta a filmarmi a casa, erano interessati alla mia dieta, al mio ambiente, ma stavamo uccidendo il maiale con mio zio, non potevamo mica rimandare. Ho spiegato agli americani che prima gli sparavamo, poi lo sgozzavamo e raccoglievamo il sangue, perché non coagulasse. Tra birre, vodka e liquori. Sono fuggiti inorriditi, commiserandomi per la bestialità in cui ero cresciuta. Ma io ho sempre mangiato maiale, anche a colazione. Altro che poverina [...] È l’unica volta in vita mia che ho corso libera. Rilassata. Doveva essere solo un allenamento. Nessuno mi aveva dato ordini. Scattai dall’inizio alla fine. Una pazza. Proprio il contrario di quello che fanno oggi. Non pensai a distribuire lo sforzo. Puro e felice squilibrio”. Jarmila non si è mai sposata. Dice che preferisce la vita all’aria aperta e ammazzare maiali» (Emanuela Audisio, “la Repubblica” 24/1/2011).