Ugo Bertone, Libero 31/3/2011, 31 marzo 2011
PORTOGALLO COLONIA BRASILIANA L’UNICA STRADA PER NON FALLIRE
Cristiano Ronaldo ci guadagnerebbe di sicuro. Uno come lui, con la maglia della Seleçao, potrebbe far delirare la folla del Maracanà in occasione dei Mondiali. Ma anche l’Angola, che non dimentica di aver prestato a suo tempo i talenti di Eusebio alla nazionale portoghese rivendica i suoi diritti. E che dire della piccola, ma ricchissima enclave di Macau, la terra dei casinò più ricchi del pianeta? Al suo tycoon più potente, il molto onorevole Stanley Ho che abita proprio sopra quella che fu la sede del governatore quando l’isola apparteneva ancora al Paese lusitano.
Insomma, non farebbe scandalo, si è detto Edward Hadas, uno dei commentatori che ogni giorno danno vita alla Lex, temutissima rubrica del Financial Times, se Lisbona passasse sotto la sovranità delle ex colonie. A partire dal Brasile che va davvero a gonfie vele. Sarebbe un ottimo affare: tassi reali più bassi; meno burocrazia: più flessibilità sul mercato del lavoro. E la fortuna di far parte di un Paese in pieno boom, che nel 2010 è cresciuto al tasso del 7,5%. Un Paese che potrebbe digerire la “grana” Portogallo: in fin dei conti la terra del fado ospita un ventesimo della popolazione brasiliana e mette assieme un Pil pari ad un decimo di quello che corre tra San Paulo e Rio. E poi, vuoi mettere che differenza tra Djilma Roussef, ex guerrigliera ma anche ex manager alla guida di Petrobras, con quei burocrati della vecchia Europa, prodighi di consigli ma spilorci quando si tratta di spender quattrini?
Mai un consiglio ha dato il via a tante critiche. Al punto che ieri lo stesso Ft ha deciso di mettere il sito a disposizione delle proteste in arrivo da Lisbona. Il Portogallo non dimentica i tempi in cui il suo Pedro I si fregiava del titolo di imperatore del Brasile. Non se ne parla nemmeno, insomma. Anche perché Galp, società petrolifera lusitana, possiede una fetta del mare davanti a Rio, quello che copre un oceano di petrolio. Invece, Lula non ha nemmeno un filare dei vigneti di Porto. Eppure, i portoghesi non si devono solo guardare dall’ex colonia d’America. La minaccia arriva anche dall’Angola. Ci voleva uno come Jim Rogers, già braccio destro di George Soros, ad annusare, nel 2003, che quel Paese percorso dalla guerra civile nascondeva risorse incredibili: oro, diamanti, petrolio. Ma scrisse Rogers prima di investire una barca di soldi a Luanda, una popolazione giovane che è stufa di far la guerra. I fatti gli hanno dato ragione: dal 20001 al 2010 l’Angola è cresciuta dell’11,1% all’anno. Certo, Luanda è una delle città più care del mondo per chi cerca di vivere all’occidentale. Ma, si sa, lo sviluppo impetuoso porta con sé, assieme ai denari gli inconvenienti della crescita. E di denari ne affluiscono davvero tanti nelle casse di Sonangol, il gigante petrolifero di Stato, anzi uno Stato nello Stato che si ingegna a trovare nuovi sbocchi finanziari per la rendita petrolifera. A partire dalla ex colonia. E così si scopre che la “povera” Angola ha già investito quasi due miliardi e mezzo di dollari nella Borsa di Lisbona, il parente povero di Euronext, il listino franco americano. Naturalmente Sonangol ha investito in Galp, di cui possiede il 3,8%, ma anche in una delle banche più importanti, la Bcp, in cui ha ricevuto il via libera dalla Banca centrale per salire oltre il 10%. Insomma, dei fratelli angolani ci si può fidare. Così almeno ha pensatola signora Isabel Dos Santos, angolana puro sangue, quando ha investito 163 milioni di dollari della sua Kento nel satellite portoghese di Zen Multimedia, che copre le trasmissioni di una fetta d’Africa.
Chissà che avrebbe detto Fernando Pessoa di fronte a questa esibizione di meticci del Brasile e di figli d’Africa in giro per lo shopping nelle strade di Alfama o sulle spiagge di Cascais. Forse, per disperazione, avrebbe scelto la strada del gioco. In uno dei casinò cino-portoghesi di Macau, terra cinese dove si sente fortissima l’impronta lasciata da quattro secoli di cultura lusitana. Forse, un figlio di Lisbona si sente più a suo agio lì che nelle vie dell’umidissima Bruxelles. Si consoli: sempre meglio di Tripoli o di Mogadiscio, disgraziate eredità del colonialismo italiano.
Ugo Bertone