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 2011  marzo 29 Martedì calendario

STORIE DELLA BATTAGLIA CONTRO LA SPORCIZIA

- È dappertutto, è disgustosa, nuoce gravemente alla salute, eppure non possiamo vivere senza. La sporcizia, fedele compagna della sviluppo e del progresso umano, può sembrare un tema inadatto o provocatorio per una mostra: ma Dirt, the filthy reality of everyday life (Sporco, la sozza realtà della vita di tutti i giorni), l´esibizione che ha aperto in questi giorni alla Wellcome Collection, è rapidamente diventato lo show più chiacchierato, visitato e discusso di Londra. Misto di arte e scienza, suddiviso in oltre duecento testimonianze tra quadri, sculture, poster, film, è un viaggio impressionante nella storia del lerciume. Si parte visitando virtualmente sei luoghi: una casa del 17esimo secolo in Olanda, una strada della Londra vittoriana, un ospedale di Glasgow nel 1860, un museo dell´igiene a Dresda nel 1930, una baraccopoli nella New Delhi odierna e una discarica di rifiuti nella New York del prossimo futuro. «L´avvertimento per il visitatore è che proverà momenti di autentico disgusto», nota Laura Cumming, critico dell´Observer, «ma una volta uscito dal museo capirà che ne valeva la pena».
Difficile non provare una sensazione di schifo, per esempio, di fronte alla scultura dell´artista spagnolo Santiago Serra formata da feci umane pressate e indurite in forma di mattoni (forse ispirata dalla famosa merda in scatola di Piero Manzoni agli albori della pop-art). Impossibile non rimanere scioccati davanti alla mappa di Soho disegnata da John Snow nel 1854 per scoprire il punto esatto in cui era cominciata una letale infezione di colera (una fontanella di Broad street, secondo lui). E solo un cuore di pietra non proverebbe pena guardando le immagini di bambini seminudi che giocano nell´immondizia di uno slum di Glasgow all´apice della rivoluzione industriale. Ma si può anche sorridere, arrivati al poster del 1920 in cui un "bobbie", il poliziotto della tradizione inglese, armato di manganello e torcia, perlustra i vicoli più squallidi della capitale sormontato da un titolo dal sapore vagamente orwelliano, "Arrest all the dirt!" (Arrestate tutta la sporcizia); oppure davanti all´ideologico slogan dell´Unione Sovietica leninista, in cui un gigantesco scarafaggio - e il pensiero corre inevitabilmente a La metamorfosi di Kafka - viene indicato come il "nemico" da sterminare, se non si vuole vedere la gloriosa e invincibile Armata Rossa decimata da malattie e infezioni.
L´obiettivo dichiarato della rassegna, tuttavia, non è nauseare, né scandalizzare, tantomeno ironizzare su un così ripugnante argomento. Come spiegano i curatori nel catalogo che accompagna l´esibizione, l´uomo prova un´avversione naturale per la sporcizia, eppure è lui stesso a crearne in quantità prodigiosa, riuscendo spesso a conviverci tranquillamente, come chiunque comprende quando si lava le mani col sapone e vede il lavandino riempirsi di acqua nera. Una seconda riflessione indotta da "Dirt" è che la sporcizia talvolta è visibile, ma in molti casi non ha colore né odore, vedi le radiazioni fuoriuscite dalla centrale nucleare giapponese dopo il recente tsunami o i microbi di cui ci accorgiamo solo sotto la lente del microscopio. E una terza considerazione, forse la più importante, è che ci pare di avere compiuto enormi progressi rispetto alla Londra dei romanzi di Dickens, con i mendicanti lerci, le prostitute sdentate e i monelli a piedi scalzi, un´umanità indecente, puzzolente, che non sapeva cosa fosse la vasca da bagno, ma solo perché qualcosa sembra pulito non vuol dire che lo sia veramente: gli organizzatori avrebbero potuto aggiungere un riferimento a Mani Pulite, l´inchiesta giudiziaria su Tangentopoli in Italia, per ricordare che spesso la sporcizia più indelebile è nascosta dentro un elegante doppiopetto, un sorriso smagliante e una generosa spruzzata di profumo.