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 2011  marzo 29 Martedì calendario

Chailly va in hit parade “E ora ci provo con Bach” - Escono i cinque concerti per pianoforte di Bach che ha inciso con Ramin Bahrami e intanto Riccardo Chailly è in un imprecisato eremo in Svizzera a studiare Mahler: incombe il centocinquantesimo compleanno e lo vogliono sul podio a festeggiare, «il 4 aprile con la Filarmonica della Scala (prova aperta il 3 in favore della Scuola di senologia del professor Veronesi, ndr) per la Settima sinfonia, la più complessa, e a maggio a Lipsia, per un Festival tutto dedicato a Mahler»

Chailly va in hit parade “E ora ci provo con Bach” - Escono i cinque concerti per pianoforte di Bach che ha inciso con Ramin Bahrami e intanto Riccardo Chailly è in un imprecisato eremo in Svizzera a studiare Mahler: incombe il centocinquantesimo compleanno e lo vogliono sul podio a festeggiare, «il 4 aprile con la Filarmonica della Scala (prova aperta il 3 in favore della Scuola di senologia del professor Veronesi, ndr) per la Settima sinfonia, la più complessa, e a maggio a Lipsia, per un Festival tutto dedicato a Mahler». Maestro, Bach registrato nella città di Bach, e con un solista che a Bach si sta dedicando in maniera esclusiva. «Già, ed è stata proprio l’opportunità di lavorare con Ramin ad affascinarmi. Pensi quanto è poco prevedibile e quanto è coraggioso un pianista giovane che, mentre tutti fanno di tutto, si dedica solo e soltanto a un autore. Va detto pure che, se mi obbligassero con una pistola alla tempia a scegliere un solo compositore, direi Bach anch’io. È un apice definitivo. Nella Matthäus Passion c’è già scritto tutto, il resto è soltanto ripetizione». E com’è andata? «Si è dimostrato coraggioso e non accomodante anche nell’esecuzione. Per tornare alla purezza filologica gli ho imposto scelte tecniche molto scomode. Basti la partenza del primo Concerto, l’Allegro. Nessuno lo fa così spinto in avanti, così accelerato. Ramin e l’orchestra mi sono venuti dietro in modo ammirevole. Lui è un ragazzo colto, simpatico». Con Bollani e la Rapsodia in blu avete venduto come se foste usciti da «X Factor». «Mi dicono che siamo prossimi al disco di platino, sa, mi sembrano quelle cose un po’ da anniversari di nozze... Dire che non me l’aspettavo è usare un eufemismo. Ma non si sa mai dove si va a parare. Quando registrammo, ad Amsterdam, le Jazz Suite di Shostakovich, i professori d’orchestra la presero un po’ come uno scherzo, un gioco. È finita che quella musica l’ha usata anche Kubrick». Già, i titoli di testa di «Eyes Wide Shut». «Dichiarò di aver trovato in quel valzer il senso di tristezza e di decadenza che caratterizzava quella coppia». E lei al cinema ci va? «Poco: il mio cinema è diventato il salotto di casa. Ho amato moltissimo Le vite degli altri». Continua a vivere per buona parte dell’anno a Milano... «Alt: a Paderno Dugnano: sono quei 17 chilometri che mi salvano. È una città che assorbe molto, se la si frequenta troppo si rischia la saturazione». Dicevamo: Milano. E ogni tanto si fa il suo nome come direttore musicale della Scala, sempre che si decida di nominarne uno. «Lissner ha idee molto precise e personali al proposito, e finora se l’è cavata benissimo. Dovrebbe chiedere a lui che cosa vuol fare. Quanto a me, ho molti altri impegni ma torno spesso alla Scala e sono felice di realizzare progetti speciali, quando se ne presenta l’occasione. Certo è un teatro che ho nel sangue: il mio primo ricordo quando io ero bambino e andò in scena un balletto su musiche di mio padre Luciano, che della Scala è stato anche direttore artistico, Fantasmi al Grand Hotel, da Dino Buzzati. E sarò sempre grato a Claudio Abbado che mi prese come suo assistente quando avevo diciott’anni». Nuovi dischi per la hit parade? «Con Bollani registreremo l’anno prossimo i due concerti di Ravel, vogliamo continuare a esplorare quella zona interessantissima degli Anni Trenta fra jazz e classica. E con Bahrami pensiamo ai concerti bachiani per due e tre pianoforti. Ma lì toccherà trovare altri solisti speciali, come piacciono a me».