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 2011  marzo 29 Martedì calendario

La tigre indiana ruggisce ancora - Saranno contenti gli indiani - è il loro animale nazionale gli animalisti come Leonardo Di Caprio e gli ammiratori di Sandokan: Salgari termina «Le tigri di Mompracem» con l’invocazione dell’eroe a Marianna, la perla di Labuan: «La Tigre è morta, e per sempre!»

La tigre indiana ruggisce ancora - Saranno contenti gli indiani - è il loro animale nazionale gli animalisti come Leonardo Di Caprio e gli ammiratori di Sandokan: Salgari termina «Le tigri di Mompracem» con l’invocazione dell’eroe a Marianna, la perla di Labuan: «La Tigre è morta, e per sempre!». La tigre indiana non è affatto morta, invece. Anzi, un censimento aggiornato al 2010 dice che questi prodigiosi animali sono aumentati del 12% rispetto al 2006, quand’erano 1411. Un secolo fa per le foreste dell’India vagavano circa centomila tigri, oggi ne sono rimaste 1706. Possiamo gioire con moderazione, dunque: dopo anni di declino, ha detto il ministro dell’Ambiente indiano Jairam Ramesh all’apertura della Conferenza internazionale sulle tigri che fino a domani si svolgerà a Delhi, c’è un’inversione di tendenza: al momento dell’indipendenza indiana, nel 1947, le tigri erano circa 40 mila, nel 2002 si erano ridotte 3.700. Le poco più di 1700 attuali non comprendono però le circa 70 della riserva di Sundarbans. La tigre resta dunque una specie a fortissimo rischio di estinzione, a causa del bracconaggio e della distruzione del suo habitat. Se ne commerciano le pelli, le ossa e varie parti del corpo, molto ricercate dalla medicina cinese. Come per l’avorio, molti turisti si rendono complici dello sterminio. Osservata dal vivo o nei filmati, la «Panthera tigris» non ha eguali, pochi altri esseri sono altrettanto carismatici. Va a caccia la notte, solitaria, ha una forza enorme (raccontano di un maschio di tigre indocinese che ha azzannato un vitello di 60 chili in un recinto alto tre metri e se l’è portato via), non ama spartire il suo territorio con nessuno e a volte ne fanno le spese anche gli umani, i contadini che vivono ai confini delle riserve. Ma alla lunga è facile indovinare chi ha la peggio. In India, dove si deve lottare contro la povertà e la corruzione dei funzionari, hanno particolare importanza i «corridoi» che permettono agli animali selvatici di spostarsi da una riserva all’altra: «Proteggere queste rotte – ha spiegato Rajesh Gopal, della National Tiger Conservation Authority – dev’essere una priorità assoluta». Nel mondo si calcola restino appena 3200 esemplari di Panthera tigris in libertà: l’obiettivo è raddoppiarne la popolazione entro il 2022 e dare un serio giro di vite al bracconaggio e al commercio illegale. Non facile, a maggior ragione in tempi di crisi: di tigri siberiane o tigri dell’Amur (Panthera tigris altaica) ne sono rimaste soltanto 450, principalmente in Russia, minacciate dalla caduta dei prezzi all’ingrosso di alcune qualità di legno che spingono i tagliaboschi a devastare le foreste di pino coreano (Pinus koraiensis nella taiga di Ussurijsk, ad esempio) dove vivono. Sono i felini più grandi del mondo, misurano oltre tre metri possono arrivare a 300 chili. Anche a Sumatra le ultime foreste pluviali, habitat delle tigri, sono minacciate dall’industria della carta e della cellulosa: secondo un rapporto del Wwf una delle principali aziende di produzione di carta del mondo, l’Asia Pulp & Paper/Sinar Mas Group (App/Smg), continua a radere al suolo le immense foreste tropicali. In Vietnam, invece, quasi i tre-quarti delle tigri indocinesi sono state uccise per rifornire i magazzini delle farmacie cinesi. Dagli indigeni in povertà gli animali vengono visti anche come una risorsa, verrà il giorno, c’è da augurarsi, in cui capiranno che una tigre viva vale molto di più, in termini di ecoturismo. Ma qualcosa, forse, sta cambiando: poche settimane, proprio in India, sono stati rilasciati sei giovani volontari indiani del Wwf (fra loro c’erano tre donne, lavoravano per il progetto All India Tiger estimation) che erano stati rapiti in un’area forestale del distretto di Chirang nell’Assam, nell’India nord-orientale. Un vasto movimento d’opinione e mediatico, fatto di studenti, giornalisti e persone comuni, ha contribuito a liberarli. Una piccola speranza c’è, dunque. Tigri e tigrotti, in lotta non solo con gli inglesi ma con tutto il mondo cosiddetto civilizzato che spreca la carta e crede in rimedi assurdi, qualche amico l’hanno ancora.