TONIA MASTROBUONI, La Stampa 29/3/2011, 29 marzo 2011
Telefonini e medicine svuotano il portafoglio delle famiglie italiane - Nel crepuscolo degli dei che è la storia dell’economia italiana più recente scompare anche il mito del “popolo delle formiche”
Telefonini e medicine svuotano il portafoglio delle famiglie italiane - Nel crepuscolo degli dei che è la storia dell’economia italiana più recente scompare anche il mito del “popolo delle formiche”. Ieri Confcommercio ha certificato la fine della leggenda del popolo cauto e un po’ diffidente, abituato a guardare con sufficienza i portafogli gonfi di carte al consumo o le altalene dei listini di Borsa che appassionano tanto gli anglsassoni. Sta sparendo un certo tipo di italiano, fiero della sua poco novecentesca attitudine a nascondere i milioncini sotto il materasso. Dal 1990, dall’anno dei Mondiali in Italia e della Riunificazione tedesca, i risparmio annuo pro capite degli italiani è precipitato del 60 per cento. Tuttavia, da qui a dedurne che siamo diventati un popolo di cicale, ce ne passa. Il crollo della propensione al risparmio non è voluto, nella maggior parte dei casi. Nell’anno dei Mondiali il futuro degli italiani doveva sembrare diffusamente radioso: riuscivano a risparmiare il 23 per cento, quasi un quarto del loro reddito. Invece, vent’anni dopo non solo sono più poveri, ma anche meno capaci di mettere da parte i soldi. Il tasso di risparmio è crollato a meno della metà, al 9 per cento. In altri termini, negli ultimi vent’anni il risparmio annuo pro capite degli italiani è passato dai 4000 euro di ieri ai 1.700 di oggi. Se d’un lato sparisce dunque il mito del popolo delle formiche, non si attenuainvece la tradizionale passione per la casa. Per Confcommercio un terzo delle famiglie «ritiene l’investimento in immobili la principale forma di utilizzo - soprattutto a fini cautelativi - del surplus monetario». La diffidenza, insomma, per tutto ciò che non è il mattone, resta. Tra i fattori che hanno determinato un’erosione della capacità di risparmio, Confcommercio ne mette in risalto principalmente due. La prima è «la stagnazione del reddito disponibile». Come ha sottolineato spesso anche il governatore della Banca d’Italia, i redditi dei lavoratori dipendenti, in termini reali, sono addirittura più bassi rispetto a quindici o vent’anni fa. Secondo Luigi Guiso, economista dello European University Institute di Firenze, «il problema è che il reddito non cresce da vent’anni perché cresce poco la produttività - dal ‘95 ad oggi si è addirittura azzerata». Nello stesso periodo la Germania o gli Stati Uniti continuavano a beneficiare di incrementi di produttività del 2,5 per cento. «Se fossimo cresciuti a quei ritmi - chiosa Guiso - oggi avremmo il 35-40 per cento di produttività in più. E i redditi delle famiglie ne avrebbero certamente beneficiato». Ampliando lo sguardo: negli ultimi anni l’Italia è cresciuta notoriamente poco e «senza crescita, non c’è risparmio», osserva l’economista. Sul tasso di risparmio in picchiata pesa anche, rileva la Confcommercio, l’invecchiamento della popolazione. È la dimostrazione della famosa tesi del ciclo di vita di Modigliani. Con il passare degli anni il futuro si accorcia e diminuisce la propensione delle persone a mettere soldi da parte. Inoltre il pensionato, avendo un reddito certo, sente meno il bisogno di risparmiare di un giovane. Tuttavia la recente evoluzione del mercato del lavoro dei giovani, che in teoria sarebbero più propensi ad accantonare risorse per periodi di magra o per il futuro, non compensa, in Italia, l’attitudine degli anziani a risparmiare poco. Le ultime generazioni hanno subito infatti una forte flessibilizzazione del lavoro e per molti della “generazione mille euro” è complicato fare risparmi. Tuttavia c’è un ultimo aspetto che Guiso invita a considerare attentamente. «Le liberalizzazioni - spiega - hanno fatto sì che negli ultimi vent’anni sia diventato più facile accendere un mutuo o prendere un prestito o comprarsi dei beni a rate». In sostanza, non c’è bisogno di accumulare un gruzzoletto prima di affacciarsi a uno sportello bancario, come accadeva sino agli anni Settanta-Ottanta. E anche la diffusione del credito al consumo non è arrivata i livelli degli Stati Uniti, ma «è stata rilevante». Infine, come spiega Emanuela Scarpellini nell’intervista qui sotto, gli italiani non rinciano più, ormai, ad alcuni beni considerati una volta superflui. Un dettaglio fondamentale che spiega perché non riuscendo più a mettere da parte i soldi e non riuscendo a guadagnare di più, gli italiani non abbiano tirato la cinghia. Dal 1992 ad oggi i consumi delle famiglie sono aumentati invece quasi del 18 per cento. In cima alla listaspiccano i telefonini. Secondo la Fondazione Hume, il loro consumo è aumentato tra il 1995 ed oggi dell’358,1 per cento. Notevoli anche gliaumenti degli acquisti di medicine: il 134,5 per cento negli ultimi quindici anni. Tra i beni cui gli italiani sembrano aver invece voltato le spalle si evidenziano gli “oli e grassi” (-16,5 per cento), un riflesso dell’attitudine degli italiani a mangiare meglio, i libri (-17,1 per cento) e i “giornali ed articoli di cancelleria”. Quest’ultima voce è precipitata del 24,3 per cento. L’unica speranza, per gli aficionados dei giornali di carta è che la quota di crollo degli “articoli di cancelleria” potrebbe essere consistente.