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 2011  marzo 29 Martedì calendario

Il sogno del “Berluschino” infranto su una traversa - I rapporti con la politica Daniele Cantore Ex segretario Psi a Torino Bettino Craxi Il primo socialista presidente del Consiglio Stefania Craxi Sottosegretarioesteri di Berlusconi Giusy La Ganga Ex parlamentare del Psi Gli anni del pallone Gianmauro Borsano Presidente dall’89 al ‘93 Giorgio Bresciani Attaccante Fabrizio Lorieri Portiere Roberto Cravero Capitano del Torino Claudio Sala Capitano nel1976 Gianmauro Borsano atterrò all’aeroporto di Catania all’ora di pranzo, pilotando un piccolo aereo privato

Il sogno del “Berluschino” infranto su una traversa - I rapporti con la politica Daniele Cantore Ex segretario Psi a Torino Bettino Craxi Il primo socialista presidente del Consiglio Stefania Craxi Sottosegretarioesteri di Berlusconi Giusy La Ganga Ex parlamentare del Psi Gli anni del pallone Gianmauro Borsano Presidente dall’89 al ‘93 Giorgio Bresciani Attaccante Fabrizio Lorieri Portiere Roberto Cravero Capitano del Torino Claudio Sala Capitano nel1976 Gianmauro Borsano atterrò all’aeroporto di Catania all’ora di pranzo, pilotando un piccolo aereo privato. Guidò svelto per cento chilometri, accanto la moglie Paola, dietro due amici. E dopo un’ora entrò allo stadio di Licata. Il Toro era finito in quella briciola di Sicilia per giocarsi la serie A davanti a quattro tifosi-eroi. E s’aggrappava a quell’omino dall’aria smarrita, venuto su dal niente per rimettere insieme i resti di quel niente che era diventata la squadra di Valentino Mazzola e Paolino Pulici. Mille giorni dopo, ad Amsterdam, il Toro che aveva umiliato il Real Madrid perse senza perdere la Coppa Uefa: due a due con l’Aiax in casa (65 mila paganti, record di incasso in Europa), zero a zero in trasferta, e una traversa tra il sogno e la sedia di Mondonico. Borsano s’affaccia alla storia del calcio nel marzo dell’89, quando acquista la società soffiandola a Giorgio Mendella. Il quale Mendella, guarda un po’, finirà di lì a poco nei guai per il crac miliardario di Retemia. Ha 43 anni, e una storia di successo, anche a volerla sfrondare del mito. Nasce a Domodossola, vive a Chivasso, lavora e studia fino alla laurea in ingegneria in Svizzera. Si dice che abbia cominciato riparando televisori. Lui racconta di aver messo su una fabbrichetta di marmitte, tre operai. E marmitta dopo marmitta di aver scalato la montagna del successo, passando per le commesse della Fiat, tirando su una impresa di brokeraggio, insomma guardandosi attorno e cogliendo al volo le occasioni di una economia in ripresa. Fino alla Gi.Ma., acronimo del nome che ha voluto dare ai due figli: Giovanni e Margherita. La Gi.Ma. è un colosso dell’edilizia da 600 miliardi di fatturato e 400 dipendenti, e attorno ruotano altri marchi, altri affari. Gli otto miliardi sborsati per il Toro sono poca cosa. Ma poi ne investe altri: porta la squadra in A, resiste alle offerte per le promesse del vivaio, anzi rilancia e si porta a casa due mezzeali come Scifo e Martin Vazquez, e il bomber Casagrande. Alla sua corte adesso arrivano in tanti, altro che Licata e Barletta. Si va a Madrid, dietro le quinte lavora pure Lucianone Moggi, e i risultati si vedono. Oddìo, si intravedono anche le prime ombre. Non tanto per lontane pendenze giudiziarie o per l’ospitalità fin troppo generosa riservata a qualche arbitro Uefa. No, si racconta di strane amicizie con personaggi in odore di ‘ndrangheta, legati con un filo non esile al partito socialista. Balle, dice lui. Intanto finisce in lista col Psi e incassa 36 mila preferenze, più del plenipotenziario di Craxi, Giusi La Ganga, che non la prende bene. Lo chiamano il «berluschino»: mattoni, calcio e Psi. Manca una tv? Bene, si compra un giornale e lo affida a Cesare Lanza. Nome glorioso «Gazzetta del Piemonte», vita stenta come il Torello di una volta. «Ma crescerà» giura l’editore. Tante promesse: lo scudetto, lo stadio nuovo, il vecchio Filadelfia. Ma le crepe s’allargano. E in pochi mesi lo inghiottiscono: il crac di una finanziaria da cui non lo salva nemmeno l’elezione a deputato, le amicizie di mafia, la crisi della Gi.Ma., sempre più giù, fino alla bancarotta. Dalla nave del Toro scendono tutti, il nazionale Lentini finisce al Milan con una operazione poco chiara e una mezza guerra civile in città. Se ne vanno i campioni, e pure i comprimari di Amsterdam. Il presidente-ingegnere cede il Toro a un notaio con l’hobby della chitarra, e di lì a poco verrà fuori un patto segreto per il versamento di una quota in nero. Le accuse si moltiplicano: evasione fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita. Piano piano, Borsano esce dalle pagine sportive, fino a scolorire anche su quelle della cronaca giudiziaria. Torna dopo un secolo, nel 2009, quando il Psi, la Gazzetta del Piemonte e in fondo anche il suo Toro si sono dissolti. La sua seconda vita parte dai mobilifici Emmelunga, passa per Aiazzone e finisce come l’altra volta: con un finanziere alla porta.