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 2011  marzo 29 Martedì calendario

ALMENO SEI MESI PER RIAVVIARE L’EXPORT DI GREGGIO

Quando, nel 1969, un giovane ufficiale dell’esercito, Muammar Gheddafi, a 27 anni rovesciò con un colpo di Stato la monarchia di re Idriss, la Libia era una potenza petrolifera; dai suoi rubinetti uscivano ogni giorno circa 3,4 milioni di barili, quasi l’8% dell’offerta mondiale di allora. Complice l’isolamento e le sanzioni internazionali, la produzione crollò a quasi un terzo a fine anni 90. La svolta arrivò a cavallo tra il 2003 e il 2004, quando in seguito alla rinuncia del regime di portare avanti il programma di armi di distruzione di massa, Onu e Stati Uniti decisero di togliere le sanzioni. Le major energetiche internazionali tornarono in Libia e la produzione riprese a correre.

I mercati ora si pongono una domanda: quanto sta realmente producendo la Libia? E chi, oggi, controlla l’estrazione? Innazitutto i numeri. Prima della rivolta la Libia produceva circa 1,6 milioni di barili al giorno (il 2% dell’offerta mondiale). Di questa quantità 1,3 mbg erano esportati. Soprattutto in Italia, che negli ultimi mesi ha assorbito il 32% dell’export libico, seguita dalla Germania (14%), da Francia e Cina (10% ciascuno) e dagli Stati Uniti (5%).

La guerra ha paralizzato l’industria petrolifera nazionale. L’opinione prevalente è che il Paese stia producendo meno di 300mila barili al giorno. «Secondo le nostre stime - ci spiega da Londra Leo Drollas, veterano dei mercati e capo economista del Centre for Global Energy Studies - in questi giorni l’estrazione supera di poco i 100mila bg. Quasi tutta è diretta ai consumi interni».

Ma quanto di questo petrolio è in mano agli insorti, e quanto in mano al regime? Stime difficili da stabilire. E comunque non così influenti; disporre di un importante terminale, come quello di Ras Lanuf o di Brega, serve ben poco se non si controlla il giacimento e i lunghi oleodotti che attraversano le terre di diversi clan. Viceversa, controllare il giacimento ma non il terminale per esportarlo è quasi inutile. In ogni caso circa il 75% del greggio estratto si trova nel bacino di Sirte, che a oggi è in buona parte nelle mani degli insorti. Grazie alle ultime avanzate i ribelli dispongono di tre delle cinque raffinerie del Paese: Ras Lanuf (220mila bg), Tobruk (20mila) e Brega (8mila).

Quanto petrolio riescano a estrarre, e quanto a venderne, resta un mistero. «Produciamo circa dai 100 ai 130mila barili al giorno e possiamo facilmente aumentare questo ritmo fino a 300mila bg», ha detto Ali Tarhoni,responsabile finanziario del Comitato nazionale, il governo de facto della Cirenaica. Tarhoni ha poi precisato di voler riprendere l’export «in meno di una settimana», aggiungendo che il Comitato nazionale ha firmato un accordo con il Qatar, delegandogli la commercializzazione del greggio. Petrolio che, rispetto a quello in mano al regime di Tripoli, non dovrebbe essere colpito dalle sanzioni. Sul fronte opposto, quello del regime, la situazione è altrettanto confusa. L’agenzia di stampa statale Jana ha precisato: «Le società ci hanno assicurato che c’è abbastanza petrolio per soddisfare la domanda (interna, ndr)». Nessuna parola, però, sull’export.

A un mese e mezzo dallo scoppio della rivolta, a gestire il funzionamento degli impianti ci sono solo gli ingegneri libici. «Quasi tutte le major straniere hanno evacuato il loro staff. ma per produrre a pieno ritmo e provvedere a una corretta manutenzione degli impianti occorre il loro know how», aggiunge Drollas. Nel 2010 le major internazionali hanno estratto più di 460mila barili al giorno (quota a loro attribuita), il 30% circa della produzione nazionale. Il primo operatore straniero, l’italiana Eni, ha dichiarato di aver sospeso la produzione, circa 110mila barili di petrolio (244mila di petrolio equivalente, che include il gas). Anche le altre principali major hanno fatto lo stesso. «Qualunque sia l’esito del conflitto - spiega Drollas - ci vorrà del tempo, non meno di sei mesi, prima di vedere l’export libico sui volumi dello scorso gennaio». E anche se gli insorti riuscissero ad esportare quantità consistenti, gli alti premi assicurativi stanno comunque scoraggiando i trader a procedere agli acquisti. Alcuni trader europei hanno inoltre precisato di temere problemi legali sulle operazioni di acquisto del greggio libico. Oggi il mondo sembra convivere, pur con qualche difficoltà, con questa interruzione dell’offerta. «Attenzione - conclude però Drollas - il greggio libico è pregiato, leggero e a basso contenuto di zolfo. Gran parte di quello che Arabia Saudita, Emirati Arabi e Kuwait stanno vendendo per colmare il gap è invece pesante. Tra pochi mesi inizierà la stagione delle benzina, periodo dove i consumi, di petrolio leggero, riprendono a correre». Allora si potrà avere un’idea più chiara sull’impatto dell’assenza libica sullo scacchiere energetico.

Resta il fatto che nessun Paese vuole essere escluso dal dopo Gheddafi. La Libia è l’Eldorado del petrolio africano. Le sue riserve, 46 miliardi di barili, sono le prime del continente. Senza contare che quasi i due terzi del suo promettente sottosuolo sono ancora inesplorati.