Nino Cirillo, Il Messaggero 29/3/2011, 29 marzo 2011
TRA I CINQUEMILA DISPERATI L’OMBRA DELLA MAFIA FAI-DA-TE
LAMPEDUSA. Eccola qui la nostra Ellis Island, avvolta in una notte di vergogna e di paura, in mezzo a un mare in guerra.
Magari un giorno ci faranno un monumento -proprio come sull’isolotto davanti a New York che vide il disperato sbarco di altri migranti-, ma intanto quest’isola è un piccola bolgia. Gli arrivi timidi e ordinati di un mese fa, quando si precipitarono per primi -a prenotare un sogno di democrazia e di libertà- medici, ingegneri, studenti universitari, la meglio gioventù che il Nord Africa poteva offrire, beh, quegli arrivi sono soltanto un ricordo. Qui è tutto un selvaggio accamparsi, sono capanni improvvisati, coperte contese e anche giacigli sulla sabbia ancora fredda di questa primavera. Se nel centro di accoglienza si calcola che siano rimasti in duemila -in un posto che potrebbe accoglierne 800- si calcola facilmente che gli altri tremila sbarcati sull’isola si siano dovuti distribuire fra Cala Palme, la spiaggia del Cavallo Bianco e anche il Porto Vecchio.
E’ una notte di vergogna perche non si può vivere così, perché così non possono vivere neanche i cinquemila isolani acquattati e impauriti nelle loro case, perché il loro tradizionale senso di solidarietà è stato fin troppo messo alla prova, perché il sospetto per il Diverso si è fatto strada in questi giorni di mare piatto, fin troppa strada, fino a immaginare rapine e stupri che in realtà non stanno ancora da nessuna parte.
E’ una notte di paura perché i precari equilibri stanno velocemente mutando, perché fra i cinquemila onesti migranti stanno prendendo piede, stanno minacciando e ricattando, stanno disegnando pericolose gerarchie nel controllo della piazza, delle strane figure finora mai viste sull’isola. Ci si chiede, ad esempio, che ruolo abbiano, che potere abbiano quei due personaggi che si son conquistati senza problemi una camera singola nella Stazione Marittima appena occupata, una Stazione Marittima che per il resto vede accampati alla meglio decine di altri tunisini.
Ci sono diversi segnali, cioè, che indicano come questa realtà di disperazione sia sul punto di essere incanalata e controllata da una sorta di mafia faidate, una cosca spontanea nata e cresciuta in questi giorni di confusione e di disagio. Non solo quelle due stanze singole: è segnalato l’arrivo, al posto dei medici e degli ingegneri dei primi di marzo, di ragazzi delle banlieues tunisine decisi a tutto, gente bene addestrata agli incidenti metropolitani.
C’è la paura di una rivolta, questa è la verità, e non degli isolani che pregano aspettando le sei navi promesse dal Governo, ma una rivolta di chi aspetta da giorni e invano un’assistenza adeguata, di chi è rimasto anche senza acqua e sigarette -perché la prassi vuole che ogni tre clandestini sia distribuito un pacchetto al giorno-, una rivolta pilotata da questi piccoli boss che la situazione di stallo ha fatto cresce e affermare.
Ce ne sono di segnali. Lo sciopero della fame, ad esempio, è stato interpretato dai lampedusani più accorti come il primo elemento di seria pressione, il primo “innocente” avvertimento. Poi sono arrivate le bottigliette d’acqua minerale svuotate e riempite di pipì, e piazzate beffardamente agli angoli delle strade. Come dire, ci siamo, e non abbiamo neppure un bagno dove andare.
Sembra fuori registro anche l’ordine pubblico. Ci sono quasi seicento uomini a controllare l’isola e per ora lo stanno facendo veramente bene, senza forzature ma anche senza concessioni. Quello che sembra mancare è un lavoro di intelligence attorno a queste nuove gerarchie paramafiose. I nostri migliori investigatori erano venuti a Lampedusa a cercare infiltrazioni terroristiche e invece di Al Qaeda non se ne sente neppure l’odore. Un altro tipo di malapianta è cresciuto tra le pieghe della Storia, e va estirpato subito. Prima ancora dell’arrivo delle navi.
Nino Cirillo