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 2011  marzo 29 Martedì calendario

Due libri contro il Risorgimento

Quegli storici dalla parte del Papa-Re - Il lussureggiante ca­talogo dei testi anti­risorgimentali s’è arricchito recente­mente di due titoli editi da Ares: L’al­tro Risorgimento d i Angela Pellicciari (288 pagine,18 euro) e 1861 - Le due Italie di Massimo Viglione( 424 pagine,20 euro). Pur se con percorsi diversi gli au­tori affermano le loro veri­tà e approdano a conclu­sioni in forza delle quali la nascita dello Stato italia­no, spogliata d’ogni conno­tazione nobile, viene ridot­t a a due aspetti: l’anticleri­calismo bieco di chi volle l’Unità, e la malvagità quando non la ferocia de­gli strumenti dei quali Ga­ribaldi, l’usurpatore sa­baudo e l a massoneria coa­lizzati si servirono per as­soggettare sia l o Stato pon­tificio - non retrogrado né malgovernato - sia il pro­spero e illuminato regno borbonico. Questa impo­stazione - oggi molto diffu­sa e fatta propria d a u n re­vanscismo confessionale e meridionale - vuole smentire le infami calun­nie che una lunga serie di statisti, saggisti e letterati ha rovesciato sul trono e sull’altare: dal famigerato Gladstone, un mentitore secondo cui il dominio dei Borboni era la negazione di Dio, a Massimo D’Aze­glio e ad altri. Non si tratta qui d’una critica del Risorgimento, l e cui lacune e l e cui ombre hanno da tempo messo in luce gli storici seri, m a del­la negazione del suo esse­re stato il fattore creativo, e positivo, dell’Unità. Qua­lificata quest’ultima come una immane iattura. Alle pagine degli storici seri ­che seppero essere impie­tosi verso il Risorgimento anche s e l o consideravano un momento fulgido delle vicende italiane - fanno so­vente ricorso sia la Pellic­ciari sia il Viglione, adat­tando le citazioni al loro proposito dissacratore. È curioso che Massimo Viglione lanci u n dramma­tico appello all’onestà sto­rica: «Occorrerebbe rac­contare finalmente anche gli aspetti meno brillanti, anche quelli oscuri, del movimento unitario, ricor­dando che vi furono due guerre civili stragi, errori, persecuzioni, il tentativo d i scristianizzare gli italia­ni ». Nulla da eccepire co­m e s e non fossimo inonda­ti da pamphlet nostalgici dell’aurea età borbonica e coincidenti, nella polemi­ca antiunitaria, con una pubblicistica leghista di differente segno, ma di analoghi intenti. Le opinioni dissenzienti devono essere rispettate e meditate. Tuttavia si assi­ste ad altro: si assiste - al­meno così pare a m e- al rie­cheggiare di tesi che furo­n o sostenute dagli aposto­li dell’antirisorgimentali­smo fondamentalista, pa­dre Bresciani i n testa con i l suo L’ebreo d i Verona . Ri­fiutati come demoniaci i moti nazionali che caratte­rizzarono quella stagione europea, vituperato il pro­testantesimo non solo per­ché eresia m a perché nega­zione della verità, indicato come dottrina malefica ca­pace soltanto di generare oppressione il liberali­smo, bollate d’indegnità alcune tra le maggiori cul­ture, ignorato il percorso internazionale verso costi­tuzioni più rispettose dei diritti umani... Cito dal libro di Angela Pellicciari: «I Savoia... di­ventano fautori dell’ideo­logia massonica e della re­ligione protestante che apertamente combattono l a cultura e l a religione n a­zionali. Grazie a questa scelta strategica che rende il Piemonte docile feudo della cultura inglese, ame­ricana, tedesca, di parte del Belgio e dell’imperato­re Napoleone III, i Savoia godono dell’appoggio in­condizionato dell’una o l’altra di queste potenze e realizzano l’unità d’Ita­lia ». Frutto dunque dell’os­sequio allo straniero, con oltraggio alla cultura e alla religione nazionali rappre­sentate dallo Stato della Chiesa e dal reame dei Bor­boni. Finché s i scopre, gra­zie alla Civiltà cattolica , che «liberalismo e comuni­smo hanno davvero tanto in comune. Stessa idola­tria del pensiero umano, ri­tenuto capace d i ridisegna­r e l a realtà; stessa idolatria del lavoro produttivo (chi non lavora non mangia canteranno i comunisti): stesso ruolo assegnato al­l’odio come fattore rigene­ratore della storia: stessa criminalizzazione dell’av­versario...; stessa fede nel fine che giustifica i mez­zi ». Così Cavour appare co­me precursore di Stalin, e Benedetto Croce un suo estimatore se non un suo complice. Confesso d’essere stato piuttosto turbato dalla let­tura dei passaggi in cui l’autrice ricorda come nel 1854 il futuro santo don Giovanni Bosco, alla vigi­lia della presentazione del­l a famosa e famigerata leg­ge piemontese contro i conventi, avesse ammoni­to Vittorio Emanuele II a non promulgarla. Aveva sognato, spiegò, u n vallet­to vestito di rosso che an­nunciava: «Gran funerale in Corte». Il progetto di confisca dei beni ecclesia­stici procedette, nonostan­t e tutto. M a- annota l a Pel­licciari - una serie di gravi lutti colpì l a corona. Nel gi­r o d i quattro mesi il r e per­de la madre, la moglie, il fratello e da ultimo il fi­glio ». Secondo u n libro del quale don Bosco aveva pro­mosso la pubblicazione «la famiglia di chi ruba a Dio non arriva alla quarta generazione». Il commen­to de L’altro Risorgimento è lapidario: «I Savoia, Re d’Italia, non sono arrivati alla quarta generazione». Anche questa può essere una tecnica di revisioni­smo storico. Ma non rie­sco ad apprezzarla.