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 2011  marzo 29 Martedì calendario

La guerra di Al Jazeera: «Sirte in mano ai ribelli» Però è un falso della tv - Bomba dopo bomba si dorme poco a Sirte, linea del Piave del regime davanti alla travolgente avanzata dei ribel­li

La guerra di Al Jazeera: «Sirte in mano ai ribelli» Però è un falso della tv - Bomba dopo bomba si dorme poco a Sirte, linea del Piave del regime davanti alla travolgente avanzata dei ribel­li. Non solo: il destino della cit­tà natale del colonnello Ghed­dafi è l’ultimo capitolo della «guerra» di Al Jazeera, che ieri mattina dava per certa la sua ca­duta. Peccato che un gruppo di giornalisti occidentali sia arri­vato a Sirte sotto i bombarda­menti alleati svelando la bufala ad effetto. Nella roccaforte del colon­nello i caccia ronzano nel cielo con il calare del buio e martella­no le postazioni dei governati­vi attorno alla città, che dista 440 chilometri da Tripoli. I pe­santi boati delle bombe ti ten­gono sveglio. Le esplosioni fan­no tremare la terra sotto i piedi. Il terno al lotto è capire quanto vicino arriverà il prossimo raid. Domenica le varie ondate hanno colpito a più riprese, la prima volta alle 9.30 di sera e l’ultima alle sei di mattina.Nel­le strade buie e deserte girano solo i miliziani di Gheddafi. Molti sono civili armati che di­fendono prima di tutto le loro famiglie. «Questo non è nulla in confronto alla sera prima, quando ci hanno lanciato ad­dosso una pioggia di missili To­mahawk », spiega in perfetto in­glese, Mohammad Khamis. È un medico con occhialini da in­­tellettuale e kalashnikov a tra­colla. Fra una bomba e l’altra passiamo la notte in un villag­gio per Vip ad un passo dal ma­re, ancora in allestimento. Al mattino presto ci buttano giù dal letto non i caccia alleati, ma le bufale strombazzate dal­la televisione araba Al Jazeera seguita da molti media interna­zionali, compresa la blasonata Bbc. «I ribelli hanno occupato Sirte senza colpo ferire e sono nel centro» rimbalzano le agen­zie. Ci troviamo nella zona est della città, da dove avrebbe do­v­uto piombare la colonna ribel­le. Per ore abbiamo sentito so­lo i caccia e le esplosioni degli attacchi dal cielo, non un solo colpo di kalashnikov. Fuori dal bungalow i poliziotti libici in di­visa blu confabulano, un po’ agitati, ma sono ancora di guar­dia con tanto di drappo verde di Gheddafi. La situazione è tesa, i ribelli si avvicinano ma sarebbero a ol­tre 100 chilometri. La piazza dei Martiri, centro della città, dove si svolgono le manifesta­zioni di regime, è desolatamen­te vuota. Non c’è un solo ribel­le, come continua a proclama­re nella mattinata Al Jazeera. Il tipico edificio a cono dei Comi­tati rivoluzionari, presente in ogni città libica, è ancora intat­to, come i poster di Gheddafi. La città è semi deserta, ma un miliziano si ferma e spara in aria per dimostrare che control­lano ancora loro la città. Fer­miamo macchine mimetizza­te con la sabbia, che si dirigono al fronte zeppe di giovani e uo­mini di mezza età in mimetica da deserto. «I ribelli? Sono sul­la strada costiera molto più a est. Andiamo al fronte per fer­marli » giura Abu Zaid Sulei­man. Faccia da sbarbatello di 19 anni indossa il giubbotto an­­tiproiettile e si è portato dietro una maschera antigas. La gente ha paura e gran par­te d­ei negozi so­no chiusi. Tante famiglie cerca­no disperata­mente un pieno di benzina per fuggire. Al Jazee­ra cambia par­zialmente idea sulla caduta di Sirte solo nel po­meriggio, ma la frittata è fatta. Non a caso il Qa­­tar, dove è nata la tv satellitare, ha riconosciuto il «governo» dei ribelli. Si tratta dell’unico Pae­se dopo la Francia. «Ho sentito per tv che gli insorti avevano preso Sirte, ma non ne ho visto neppure uno» spiega Helmi Mohammed, un emigrato egi­ziano, che lavora in uno dei po­chi negozi aperti. A scuola i ban­chi sono pieni per metà. Le stes­se ragazzine ve­late ammetto­no che «girava la voce dell’arri­vo dei ribelli » ri­lanciata dalla tv. Rada Imra­ed, 16 anni, che ha vissuto in In­ghilterra per al­cuni anni spie­ga candidamen­te: «È giusto che ci siano opinio­ni diverse nel nostro Paese, ma non impo­ste dalle armi. Con la mia fami­glia restiamo tappati in casa per pregare spe­rando che il caos passi».