Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 28 Lunedì calendario

CAROLINA BALLA DA SOLA

Spacciata. Anzi un vuoto a perdere. Un anno fa Carolina Kostner si era schiantata sul ghiaccio. Non bastassero le cadute olimpiche era arrivata anche la condanna di Gianni Petrucci, presidente Coni. Anzi la gogna mediatica: «Non è una campionessa». Tradotto: «È un bidone, e un oggetto smarrito». Tutto era andato storto: in più tanti capitomboli e un sedicesimo posto da fare pietà. Carolina fuggiva da Vancouver come un cerbiatto ferito e impallinato che vuole scegliere il posto dove morire. Ad appena 23 anni sembrava finita. Affondata e smascherata. Pareva la disgrazia dello sport italiano che di lei non sapeva più cosa farsene. Miss Caduta poteva anche uscire di scena. Ruzzolare via un´altra volta, per sempre. Invece Carolina è tornata: a pattinare sul ghiaccio, a vivere in Europa, a salire in classifica, a riflettere su una carriera interrotta. «Lo dico adesso, dopo che ci sono passata: andare in America è stato uno sbaglio. Ma prima non potevo saperlo, ho dovuto viverlo. Tutte le migliori andavano ad allenarsi con Carroll, mi sembrava giusto provarci anch´io. Così ho cambiato: vita, paese, staff, abitudini. Ma la mia America è stata molto di periferia e proletaria, a El Segundo stavo nella casa di un poliziotto, Los Angeles non l´ho mai vista. Vita sociale zero. Lì se non sei famosa, non sei nessuno. Non hai attenzione, nemmeno un cane che si volti dalla tua parte. Non voglio lamentarmi, perché è stata una scelta mia, che mi ha aiutato a conoscermi. E a capire: io vengo dalla Val Gardena, sono legata a quel tipo di cultura e di tradizione, ad una piccola quotidianità. Sono andata via di casa a 13 anni, ma comincio a soffrire di nostalgia. L´America anche nello sport è molto professionale, perfetta e crudele, con Carroll l´allenamento era simulare la gara, ripetere all´infinito l´esercizio, meccanizzare ogni gesto. Non c´era né voglia né tempo per altro, mai un gesto di amicizia. Troppo pesante per me, preferisco Oberstdorf, in Germania, dove sono tornata. E dove il coach Huth ora mi lascia più libertà, non si sente più responsabilizzato come prima. Siamo una decina a pattinare lì, con i miei compagni c´è una buona atmosfera, molto umana, ci parliamo, scherziamo e l´allenamento è fatto di cose diverse. Posso sfogarmi con gli esercizi di tecnica».
È servito il tonfo a trovare nuove forze, per rimettersi in equilibrio? «No. Il dolore non serve a nessuno. Quando ti trattano come una bimba capricciosa e come un´impostora. Ti destabilizza, soffri e basta. Ti accorgi che molte persone scompaiono, quelle che in te vedevano solo un risultato e che c´erano quando vincevi. Il tuo mondo si rimpicciolisce e questo mi ha fatto dispiacere. Del Coni non ho sentito più nessuno, non una persona si è fatta viva. Come fossi una bastarda, una figlia di nessuno. Eppure ero e sono l´azzurra che ha vinto di più nel pattinaggio artistico. E quella più cliccata sul web nel 2010. Per andare avanti serve fiducia, io non l´avevo più, l´ho ritrovata in me, ho ricostruito una stagione da sola e vinto l´argento agli europei. Senza pressioni, non dovevo più portare pesi, visto che in un certo senso ero stata scaricata, anche dalle responsabilità. Quando ho iniziato a vincere nel pattinaggio è stato bellissimo, soprattutto per la libertà: non c´era nessuno che mi diceva cosa dovessi fare. Poi tutto è cambiato, si è rovinato: ognuno mi chiedeva qualcosa, per fare risultato era meglio che cambiassi questo e quello, tante persone hanno incominciato a ronzare attorno e io mi sono persa di vista, non ho più capito chi ero e dov´era finito tutto il divertimento e la semplicità di prima».
Il mondiale in Giappone dopo una settima d´incertezza è stato spostato a Mosca in Russia (24 aprile-1 maggio). «Non è il massimo, prepararsi per un evento, annullare gli altri impegni, e poi trovarsi in un buco nero in cui non si sa più se la competizione ci sarà. Noi atleti siamo sempre così preoccupati del particolare, di un muscolo, di un tendine che ci fa male, e improvvisamente arriva il terremoto e il maremoto, e tutto cambia, e davanti alla catastrofe pensi alle tue avversarie, alle loro famiglie, a quanto sia difficile per loro trovare una ragione per andare avanti. E cosa vuoi dire davanti ad una tragedia così grande? Impari, ancora una volta, che ci sono cose più grandi di te e dello sport, anche se la tendenza del Cio è sempre quella di non fermare lo spettacolo. Io ho affetto per il Giappone e sono ricambiata, proprio oggi aspetto una troupe televisiva nipponica che viene ad intervistarmi. Certo ai mondiali sarà dura, il livello è alto, e anche la Russia si sta preparando per le prossime Olimpiadi invernali che ospiterà, quindi ha un dovere in più per fare bene. Io ho male a un ginocchio, ma per la prima volta gareggio da sola, dopo anni passati a cercare di accontentare gli altri e a chiedere un po´ di rispetto. Ora non più. La lezione mi è servita. La stima delle persone che per me contano ce l´ho, me la faccio bastare. Sento di poterlo dire: Carolina sul ghiaccio ora balla da sola, ed è felice così».