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 2011  marzo 27 Domenica calendario

SOGNO SEMPRE: E’ IL BELLO DELLAVECCHIAIA

La bella vecchiaia di Letizia Battaglia. Il cane Pippo che inizia le passeggiate di prima mattina e le resta per tutto il giorno scodinzolante tra i piedi. Le tre figlie e i cinque nipoti che telefonano, citofonano, l’aggiornano, e la controllano pure, affettuosamente. Shobha compresa, che verso mezzogiorno fa squillare lo schermo del computer, aperto su Skype in attesa che appaia la sua chioma bionda dalle spiagge lontane di Goa. S’informa dello stato di salute della mamma, la gamba negli ultimi tempi le ha dato problemi, «mi è diventato faticoso salire le scalette dell’aereo» . Tre mostre in corso in Germania, una in Belgio, due in Italia: a Parma e a Caravaggio. Dalla scrivania accanto, nella casa-studio nel centro storico di Palermo, l’assistente, Mariachiara Di Trapani, l’aiuta a tenere un ritmo di lavoro che non s’allenta. A settembre sarà a Istanbul, a luglio in un campus del Vermont. Faticoso, indispensabile, vitale. Letizia Battaglia, la più grande fotografa italiana— la reporter dell’impegno antimafia, con gli scatti in bianco e nero delle vittime delle cosche, la frangia bionda e la Pentax al collo (finché non le hanno regalato una Leica); la prima donna europea a vincere negli Stati Uniti la borsa Eugene Smith; la protagonista della primavera palermitana, la fascia tricolore annodata in vita da assessore comunale (un’immagine dell’ 86) e poi lo scranno all’assemblea siciliana —, dopo più di una vita intensamente vissuta, a 76 anni appena compiuti, è ancora alla ricerca: «Me lo dicono i sogni» . «Mi trovo come in un labirinto di Escher — racconta —, mi perdo, tento un passaggio. Sembra un incubo, ma al risveglio per me è fantastico: io voglio trovare una strada» . Dunque, «questa vecchiaia è bellissima: piena di aspettative» . Non è un’illusione di eternità, «sono consapevole dei tempi corti che ho davanti, è evidente. Mi so guardare allo specchio e sento la perdita della forza fisica. Ma c’è così tanto dentro» : tutti gli incontri, la nonna, «mia madre» , gli amici, Josef Koudelka («il più grande fotografo del mondo» ) ed Ettore Sottsass («lo adoravo, questa libreria — una geometria rossa verticale, a metà tra l’ingresso e la finestra del terrazzo— è stata disegnata da lui, sono andata io stessa a prenderla a Milano» ). E gli amanti, «ho imparato da ciascuno di loro» . Gli ideali. «C’è una grande potenza nella vecchiaia, che deriva da tutto quello che hai vissuto: è un patrimonio che ti rende forte, indistruttibile» . Il brutto può affondare, «non lo ricordo» . Affiorano le gemme. «Nel ’ 72, quando ho fotografato Pasolini a Milano al circolo Turati, i suoi occhi seri; a Venezia a 28 anni quando ho visto Ezra Pound, occhi grandi e tristi. Piangevo in silenzio, tutta sporca del trucco nero, come si portava allora, che mi colava sulla guance. Mi sono entrati nell’anima» . Ancora oggi è di Pound la citazione che più recita perché più la riguarda: «Strappa da te la vanità/ti dico strappala./Ma avere fatto in luogo di non avere fatto/questa non è vanità...» . «Via la vanità — fa una smorfia per scacciarla —, il bello è fare. Zappare la terra e veder spuntare il fiore. Se mi dici "faccio ceramica", voglio vedere quello che produci. È sulle cose che misuro le persone, non sulla vanità. Non m’importa del successo legato alla vanità. Sono conosciuta? Non è un successo, semmai è aver lavorato con attenzione: ho rispettato le persone che ho incontrato. Essere onesti, non bluffare» . Gli ideali, insiste: rendono forti. Riemergono gli anni dell’impegno politico: «Sentirsi utile, avere un senso. Non c’entra il potere— di nuovo quell’espressione per allontanare—. Non mi interessa, via! Amministrare è come lavare i piatti o mettere in ordine i libri. Non ho dato a mia figlia o a mia madre, ho dato a degli sconosciuti. Mi ha fatto sentire bene, nonostante gli attacchi, le mafie che bussavano. È stato il periodo più bello della mia vita, più dei periodi di amore, che pure ci sono stati...» . Gli anni milanesi, condivisi con Santi Caleca, quando nel ’ 71 Letizia rompe l’infelicità di un matrimonio prematuro e a 37 anni ricomincia. «Sono stata una persona tormentata fino a quarant’anni, ho avuto bisogno dello psicanalista. La felicità mi doveva arrivare per cose semplici: poter lavorare, esprimermi» . La scoperta della fotografia, il ritorno a Palermo, nel ’ 74, la redazione de L’Ora, l’arrivo del giovane Franco Zecchin, 18 anni meno di lei. Un sodalizio affettivo e lavorativo che durerà a lungo. «Letizia-e-Franco diventano un binomio inscindibile — scrive Giovanna Calvenzi nel libro- Biografia Letizia Battaglia. Sulle ferite dei suoi sogni (Bruno Mondadori) — impegnati entrambi nella più coraggiosa delle imprese: testimoniare da Palermo, dal cuore del sistema, la tragedia della rete di connessioni mafiose nella quale il Paese è precipitato» . I suoi scatti all’hotel Zagarella che ritraevano Nino Salvo con Andreotti finiranno agli atti del processo al leader democristiano. La rottura con Zecchin, nel ’ 93, marca necessariamente una nuova epoca. «In vecchiaia devi adeguarti armoniosamente ai cambiamenti del tuo corpo, dei tuoi rapporti con l’altro sesso. Sono stata io a dirgli di andare, perché l’ho sentito inquieto. Avevo sessant’anni ed ero ancora carina, ma ho chiuso. Ho capito che non potevo più puntare sulla ricerca di un compagno, di un amore. Era necessario farlo, perché non bisogna umiliarsi, non accetto la sofferenza del proporsi. Forse ho ottenuto così manifestazioni di affetto maschile più profonde...» . Senza tristezza. «L’amore che hai fatto, tutti i bambini che hai incontrato: mi sento forte, trasmetto tutto quello che mi hanno dato» . Lo dice al maschile, ma intende «bambine» . Con il pallone, con il pane, dietro al pecoraio, la ragazzina «che non è mai andata a scuola» e lava i piatti in una tinozza. Alcune s’affacciano dalle pareti di casa. «Ho notato che il 99,9 per cento delle mie immagini sono di donne. Non solo per solidarietà: desidero fotografarle con spirito che non sia maschile, credo che siano più belle. Le bambine sono io a cercarle, con molta emozione: quando incontro la ragazzina imbronciata, sulla soglia dell’adolescenza, magra, con le occhiaie, i capelli lisci, sono io. E quando la fotografo è come se facessi un incontro di bambina con bambina» . — una delle speranze che la ancorano ancora a Palermo: incontrare la ragazzina. A una svolta del labirinto in cui si perde, il sogno che la tiene viva, ma l’inquieta. «Credo che l’incubo in cui cerco una strada sia legato a questa città più che al mio vissuto. Sono impastata con Palermo, con rabbia. Non trovo la strada per arrivare a qualcosa» . A che cosa? «A una città più vivibile, amorosa, meno sgraziata» . Un’utopia: «Non abbiamo più niente. Palermo non ha un edificio pubblico nuovo dal ’ 47, né un auditorium né un museo, solo porcherie private. È morta» . Per la mafia «che domina e umilia, subdola: ha armi ma non le vedi, spara alle spalle» . Per la società ormai corrotta: «Il berlusconismo ha stimolato i sentimenti più banali: possedere, avere successo, la vanità... La generazione nata negli ultimi 20-25 anni si è trovata questi modelli: un danno irreparabile» . Chi vuole realizzare qualcosa va via. «Da decenni vedo partire intelligenze. Emma Dante qua non riesce a lavorare, porta i suoi spettacoli in Europa. Ma il dolore è profondo, perché vuoi essere amato dalla gente con cui vivi, dal posto dove sei» . Si riferisce alla regista teatrale, ma sta parlando anche di se stessa. Osannata in America, riconosciuta ai tavoli dei bar a New York. Invece a Palermo, «non faccio una mostra dal 1999» . Perché restare, allora? «Penso spesso di andare a Berlino, una città che può saziare la mia curiosità d’arte, che ha attenzione per le intelligenze. Ho anche cercato casa in affitto, se ne trovavano a 250 euro al mese. Ho detto a mia figlia Patrizia: trasferiamoci. Non l’abbiamo fatto, perché lei qui organizza incontri di poesia, mi ha risposto. Rimaniamo per dare un po’ di nutrimento, penso di essere comunque una presenza» . Esita: «Sono piccole cose a trattenermi» . Ci pensa: «Il cielo di questa città» . Ancora una pausa: «E poi ti arriva la ragazzina...» . «Potrei andarmene, sarebbe comodo» . E invece, per la fortuna inconsapevole di Palermo, Letizia Battaglia, bellissima anziana, sogna. E rimane.
Alessandra Coppola