Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 27/03/2011, 27 marzo 2011
SACRARI DELLA MEMORIA IL PANTHEON E SANTA CROCE
In questo fervore di dibattiti sui 150 anni dell’Unità d’Italia, vorrei chiedere il suo parere su questa proposta: perché non traslare al Pantheon, quale tempio laico delle glorie nazionali, le salme di coloro che furono gli artefici del Risorgimento? E quindi di chi contribuì con la sua geniale tessitura politico-diplomatica (Cavour), con il pensiero politico e l’apostolato civile e morale (Mazzini), con l’azione eroico-militare delle sue varie imprese (Garibaldi)? Nel Pantheon c’è solo uno dei protagonisti del Risorgimento: Vittorio Emanuele. Perché non portare in quel luogo solenne e altamente simbolico anche gli altri?
Mario Nanni
marionanni@mobileemail. vodafone. it
Le segnalo il caso dell’illustre fisico italiano Enrico Fermi, premio Nobel nel 1938, che si trasferì negli Stati Uniti con la consorte Laura Capon e i figli nello stesso anno. È ora sepolto nell’Oak Wood Cemetery di Chicago, dove è morto il 29 novembre 1954. Non sarebbe ragionevole che l’Italia richiedesse la salma di un suo figlio così prestigioso per deporla in Santa Croce, come è stato fatto per quella di Ugo Foscolo, morto in Inghilterra?
Antonio Fadda
antoniofadda2@virgilio. it
Cari lettori, il Pantheon e Santa Croce furono effettivamente, per alcuni decenni, i due luoghi designati ad accogliere, rispettivamente, i re d’Italia e le maggiori personalità dell’arte e della cultura italiane. Il Pantheon fu scelto, dopo la morte di Vittorio Emanuele II, perché era la meno ecclesiastica delle chiese romane e soprattutto il tempio a cui l’architetto Soufflot si era ispirato, verso la metà del Settecento, per costruire a Parigi una chiesa destinata a diventare, dopo la rivoluzione, il sacrario laico di alcuni grandi francesi, da Voltaire a Rousseau, da Victor Hugo a Emile Zola, da Jean Monnet, padre della Comunità europea, a due grandi scienziati nucleari (Pierre e Marie Curie), da André Malraux ad Alexandre Dumas, qui sepolto in occasione del secondo centenario della sua nascita. Per la sepoltura di Vittorio Emanuele II, Cesare Correnti, giornalista e scrittore del Risorgimento, avrebbe preferito la chiesa dell’Aracoeli sul Campidoglio, accanto al luogo dove sorgeva il tempio di Giove trionfatore. Ma Francesco Crispi, allora ministro degli Interni, voleva il Pantheon e riuscì a fare prevalere la sua scelta. Se la monarchia non fosse stata travolta dal referendum del 2 giugno 1946, il Pantheon ospiterebbe ora le salme di Vittorio Emanuele III e di Umberto II, e sarebbe considerato, dopo l’abbazia di Hautecombe in Savoia e la basilica di Superga sopra Torino, il terzo sacrario della dinastia dei Savoia. Non credo che sia possibile, a questo punto, dargli un nuovo significato e una nuova funzione. La basilica fiorentina di Santa Croce è invece una sorta di Pantheon naturale, cresciuto spontaneamente nei secoli. Quando fu deciso di trasportare qui nel 1871 la salma di Ugo Foscolo, morto e sepolto in Inghilterra nel 1827, la chiesa ospitava già le tombe di Machiavelli, Michelangelo, Galileo e di numerosi personaggi meno noti dell’ambiente culturale toscano. Vi fu effettivamente da allora, per qualche decennio, l’intenzione di farne il grande tempio della cultura italiana; e giunsero così in Santa Croce, negli anni seguenti, altre salme fra cui quelle di Gioacchino Rossini, Leon Battista Alberti, Vittorio Alfieri. Vennero commissionati monumenti funebri per persone seppellite altrove e fu preparata una trionfale accoglienza per la salma di Dante. Ma Ravenna, dove l’autore della Commedia era morto, non volle rinunciare al privilegio di ospitarne i resti. Non è facile, cari lettori, creare un Pantheon nazionale in un Paese dove ogni città, ogni borgo, ogni campanile ha memorie e antenati di cui vuole essere geloso custode. Dimenticavo. L’ultima grande personalità italiana sepolta in Santa Croce è il filosofo Giovanni Gentile, ucciso a Firenze il 15 aprile 1944. È sepolto nel pavimento della navata centrale sotto una lastra di marmo su cui sono stati scolpiti soltanto il suo nome, l’anno della nascita e quello della morte.
Sergio Romano