Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 27/03/2011, 27 marzo 2011
L’ENI ALLA CAMPAGNA DI RUSSIA. I CONTRATTI (A OSTACOLI) DEL GAS
La guerra in Libia favorisce la stabilità al vertice dell’Eni: Roberto Poli ancora presidente, Paolo Scaroni amministratore delegato. L’analisi della gestione uscente meriterebbe un dibattito. L’obiettivo dei 2 milioni di barili al giorno, per esempio, è stato raggiunto nell’ultimo trimestre 2010, con tre anni di ritardo sulla vecchia tabella di marcia. Le riserve, per effetto dei contratti di condivisione con i produttori, coprono 10 anni e non più 12 come nel 2005. Alcune acquisizioni sono state fatte a prezzi vicini ai massimi, la convenienza dei giacimenti africani di gas sconta la distanza dai mercati di utilizzo, nel mix produttivo l’olio pesa sempre meno del gas. Il titolo è andato peggio dei concorrenti. Il debito consolidato, pur sostenibile, riduce la flessibilità strategica. Il dividendo è diminuito. Insomma, come holding, il governo avrebbe forse qualcosa da capire meglio. Ma la crisi in Nord Africa e Medio Oriente sconsiglia cambiamenti. La novità, pertanto, sarà l’ingresso in consiglio del banchiere Alessandro Profumo quale indipendente indicato dalla lista di minoranza di Assogestioni al posto di Alberto Clò, non più rieleggibile. E tuttavia, oggi più di prima, a dare un senso alle nomine dovrebbero essere i compiti che il governo azionista assegna all’Eni, specialmente nel settore del gas che, più del petrolio, incrocia la sicurezza energetica e la politica estera dell’Italia verso la Russia e la Francia. Il gas è all’origine dell’Eni. Per tanti anni è stata la rendita metanifera della Val Padana a "fare"i bilanci. In seguito, ha pesato meno. In anni normali, il gas dà un quarto dei margini. Ma ora può destabilizzare i risultati, causa la divaricazione tra i prezzi dei contratti take or pay, tipici dell’Eni, e quelli spot, crollati del 30%per effetto dei gas non convenzionali che hanno già tolto dalla domanda globale gli Usa e domani toglieranno o quasi la Cina. Negli anni scorsi, Scaroni spiegò agli analisti che le attività regolate dell’Eni nel gas equivalevano a public utility, e però l’attesa rivalutazione del titolo non arrivò. Oggi Mediobanca Securities ribalta il concetto: detratte le attività regolate e le altre collaterali, sarebbero proprio le attività minerarie a trattare a sconto. Il cuore del cane a sei zampe presenta un valore, debiti inclusi, di 56,9 miliardi di euro, 4,2 volte il margine operativo lordo 2010 di 13,9 miliardi. La Total, invece, ha un rapporto di 5,2 volte, l’inglese Bp di 5,4 volte e l’olandese Shell di 7 volte, mentre vengono valutate peggio l’austriaca Omv e la norvegese Statoil. All’Eni converrebbe disincagliarsi. Mediobanca crede che accadrà. E pure la svizzera Ubs. Il fondo Knight Vinkle riesce a raccogliere una decina di adesioni tra i grandi fondi alla sua lettera al ministro Giulio Tremonti. Scaroni, del resto, aveva appena rivelato agli analisti che l’Eni, già costretta dalla Ue a cedere i gasdotti europei, è pronta a vendere Snam Rete Gas a un acquirente gradito al governo e disposto a pagare un premio sulle quotazioni correnti. Nello stesso tempo, il capo dell’Eni sta rinegoziando con Gazprom i take or pay. E si ritiene possibile entrare nella risistemazione di Edison a cui lavora Tremonti: il ministro per porre un argine a Electricité de France in Italia, Scaroni per poter bruciare nelle centrali elettriche di Edison il gas in eccesso dell’Eni. Vendendo il 52%di Snam, l’Eni ricaverebbe 7-8 miliardi e deconsoliderebbe altri 10 miliardi di debiti. Se riuscisse infine a piazzare anche il pacchetto Galp (3-4 miliardi), azzererebbe o quasi il debito. Ma sono operazioni ardue. La quota Galp è una robusta minoranza in un’azienda controllata dallo Stato portoghese. Ora che la legge non lo obbliga più a vendere Snam, Scaroni è pronto a farlo contro un premio senza aggettivi. Ma non può lanciare aste. Le soluzioni sembrano due: o vendere a un soggetto semipubblico italiano come Terna nella prospettiva di una società delle reti oppure fondere Snam con una sua simile europea quale primo passo per costruire l’infrastruttura continentale del gas. La prima strada sembra più facile. Terna vorrebbe, ma senza spendere troppo. Sulla carta, l’Eni potrebbe riprendersi Italgas, un’attività commerciale compatibile con il crescente impegno nel settore elettrico. L’esborso scenderebbe così a 10-11 miliardi. Terna, inoltre, è po’meno indebitata delle altre reti europee e dunque potrebbe farsi prestare un po’di soldi debito riducendo l’aumento di capitale, comunque da fare, a dimensioni adatte al suo socio eccellente, la Cassa depositi e prestiti. Il debito della nascente società delle reti potrebbe essere gestito garantendo gli investimenti infrastrutturali anche in misura superiore a quella attuale, grazie ai flussi di cassa generosamente assicurati dall’Autorità per l’Energia sulle nuove capacità trasmissive. Ma Terna nulla può senza il placet di Tremonti. Scaroni, d’altra parte, già si è speso per un’altra soluzione: la rete europea dei gasdotti. In un documento riservato, l’Eni immagina una rete multinazionale di 80 mila km, che unirebbe Snam, il reseau di Gaz de France, la tedesca Open Grid Europe, la belga Fluxys e l’austriaca Omv Gas. In questo orizzonte carolingio colpiscono il peso della Francia, la cui rete è di 31 mila km come quella italiana, e l’intento antirusso, laddove un mercato integrato del gas potrebbe, secondo l’Eni, assicurare la copertura della domanda europea a prescindere dalla Russia. L’offerta potenziale nel 2010 era infatti per 752 miliardi di metri cubi, dei quali 230 di origine russa, contro una domanda effettiva di 512 miliardi. Si tratta di partite meno scontate di quanto si creda. Il rapporto Italia-Francia non può essere uguale a quello che c’era con gli assetti di Edison e Snam stabili e la partnership Edf-Enel nel nucleare pacifica. L’entente cordiale tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin si scontra con i bilanci. Ora, ci si chiede che cosa potrebbe fare Gaz de France nella partita Snam se Eni entrasse in quella Edf-Edison. E, più ancora, come evolverà lo scambio con Mosca. Il numero due di Gazprom, Alexander Medvedev, ha rilanciato sul «Sole 24 Ore» il South Stream, che porterà altri 63 miliardi di metri cubi di gas russo in un’Europa preoccupata dalla crisi libica e dall’esaurirsi delle riserve del Nord. Ma la durezza del negoziato si capisce meglio dal quotidiano "Kommersant"che titola: "Il conflitto con Gazprom può costare il posto al capo dell’Eni". Il giornale, che appartiene all’oligarca Alisher Usmanov, legato al Cremlino e a Gazprom, accusa Scaroni di fare melina sul South Stream. E poi affonda: l’Eni sarebbe il peggior cliente europeo, pur avendo ottenuto le condizioni migliori. Gazprom, infatti, avrebbe abbassato al 65%le quantità da ritirare ogni anno rispetto al totale annuo garantito dal fornitore e avrebbe esteso al 2014 la scadenza infracontrattuale per regolare le partite eventualmente sospese. Le altre società europee avrebbero l’obbligo di ritirare almeno il 75%del garantito da Gazprom entro il 2013. In realtà, l’Eni fa sapere di aver tempo fino al 2035 per prendersi il gas non ritirato e di riuscirci entro il 2025. Ma il punto, su cui tutti sorvolano, è il prezzo, troppo legato al barile. L’Eni ha già usato uno dei due diritti speciali a rinegoziare in costanza di contratto ed è pronta a calare il secondo jolly. Al tempo stesso minaccia di attaccare in radice il potere contrattuale di Gazprom con la rete europea. Un’arma talmente totale che, senza una chiaro avallo dell’azionista -di Berlusconi prima ancora che di Tremonti -rischia di essere soprattutto verbale.
Massimo Mucchetti