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 2011  marzo 27 Domenica calendario

UN PAESE-MOSAICO CHE RISCHIA IL CRAC

Nell’onda di rivolte che sta sconvolgendo il Vicino Oriente, nessuno poteva immaginare che persino la famiglia al Assad in Siria iniziasse a traballare. Il padre Hafez al Assad prima e poi, in forma più edulcorata, il figlio Bashar, avevano in fondo creato e mantenuto in vita una dittatura quasi perfetta.
Al potere dal 1971, hanno infatti plasmato nel tempo, e con fredda e inflessibile ferocia, un dominio tra terrore e autocontrollo generato dallo stesso terrore. Sono stati quarant’anni in cui è stata cancellata nel sangue ogni espressione politica ed è stato congelato ogni spirito critico. Anni in cui gli Assad hanno forgiato una stabilità senza tempo e che nel silenzio delle carceri hanno saputo nascondere agli occhi del mondo torture, imprigionamenti e sparizioni. Si contano a migliaia le vittime di una repressione che solo gli ultimi anni hanno forse in parte attenuato. Le incognite cominciano ora a prendere il posto delle certezze. E riguardano tutte la realtà della società siriana in cui non mancano nodi da sciogliere. Più di ogni altro Paese che la circonda, più dello stesso Libano e dell’Iraq, la Siria appare un mosaico di fedi religiose e di intricati rapporti interconfessionali, sopiti e tenuti in equilibrio sotto una mano governativa forte e intransigente. La tolleranza e convivenza tra la maggioranza sunnita, le varie correnti sciite e le numerose confessioni cristiane (cattolici, ortodossi, armeni e tante altre) è stata una difesa interessata più che un percorso virtuoso. La minoranza sciita alauita, a cui appartengono gli Assad, è da sempre vista dagli altri musulmani come un’eresia da scomunicare e combattere con ogni forza: solo un potere forte e inflessibile ha potuto superare resistenze e far accettare a una maggioranza musulmana una visione meno avversa. Come nel 1982, quando per sedare l’opposizione dei Fratelli Musulmani, Hafez al Assad mandò l’esercito all’assalto della roccaforte dell’opposizione nella città di Hama. E dimostrò così come sapeva superare dubbi di legittimità e ostilità confessionale. Si racconta che l’esercito governativo trucidò non meno di ventimila persone e da allora non si sentì più parlare né di Fratelli Musulmani né di opposizione politica o religiosa in Siria. La presenza degli altri gruppi religiosi non è meno sospesa in una situazione come questa. Gli sciiti sono in aumento, anche grazie al ruolo di Hezbollah nella realtà libanese, e per il rapporto privilegiato tra gli Assad e l’Iran. Non si faranno certo coinvolgere nell’eventuale crollo del regime e del potere alauita, ma reclameranno più spazio. Le confessioni cristiane non hanno patito così tante erosioni come in altri contesti, ma sono con il fiato sospeso davanti a rivolgimenti che difficilmente potranno relegare il fattore religioso in un ruolo secondario. E se i nuovi assetti saranno fatti a colpi di maggioranza, i cristiani rischiano di ritrovarsi come in Iraq in una posizione scoperta e senza futuro politico. A ciò si aggiungono poi altre complicazioni. A una consistente minoranza curda, a cui si potrebbero aprire nuove possibilità, si affianca la presenza di centinaia di migliaia di palestinesi, cittadini fantasma, appena tollerati e abbandonati nei campi profughi. A dimostrazione che il fattore religioso storico è anche qui, come in altri Paesi arabi, complicato dai residui di confini nazionali discutibili e dalle ferite più recenti della regione. Se le crepe di questi giorni preluderanno a un crollo, potrebbe aprirsi una fase di instabilità estremamente pericolosa e destabilizzante per tutta la regione e non solo per la Siria. Rischia di polverizzarsi una realtà complessa e anche più intricata di Iraq e Libano, ai quali la compattezza fittizia e imposta della Siria faceva un po’ da contraltare o da appoggio concreto. Nessuno può dire allora che direzione prenderanno gli eventi, ma si può scommettere che tanti, troppi, cercheranno di alzare quella voce che è stata sopita per troppo tempo e con troppa violenza. I giovani delle rivolte arabe, fatti anche da siriani cresciuti in esilio, punteranno a rilanciare gli slogan liberali e anti-regime di queste settimane. Gli sciiti cercheranno di uscire dall’isolamento che in Siria, come in Bahrein o Iraq, li ha sempre esclusi da ogni coinvolgimento diretto al potere. La maggioranza sunnita non mancherà di far sentire la sua voce e forse qualcuno della Fratellanza Musulmana cercherà di far giustizia di Hama e di un’esclusione che ha cancellato la loro presenza da troppo tempo. E forse, insieme e a cavallo di tutto ciò, non mancheranno rivendicazioni di ogni altra minoranza di qualsiasi tipo, in grado forse di mettere in discussione la stessa unità della Siria. E tutti cercheranno di giocare la loro partita, se ne avranno davvero la possibilità e soprattutto la forza in una realtà politica praticamente sconosciuta e frustrata nelle sue espressioni più vive. Questo è il dilemma di fondo: nessuno conosce i molti attori che si contenderanno la scena, se mai la crisi si aggraverà e gli Assad usciranno di scena. E quella scena politica che si potrebbe aprire appare ora terribilmente vuota, più ancora che in Libia e, per di più, a stretto contatto con Iraq, Libano e Israele, con il rischio concreto di aprire una fase nuova e piena di quesiti sul futuro di tutta la regione.
Roberto Tottoli
Docente di Islamistica Università di Napoli L’Orientale