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 2011  marzo 27 Domenica calendario

L’ODISSEA DELL’ESORDIENTE

Si può calcolare che in Italia ogni giorno, comprese le domeniche, nasca un nuovo scrittore, quando non ne nascono due o tre. Non c’è nessuna esagerazione: il numero di manoscritti che affluisce annualmente alle Case editrici dimostra che questa media è inferiore alla realtà.

Centinaia di persone, delle più diverse categorie sociali, stanno oggi, a quest’ora, pensando intensamente al capolavoro che dovrà aprire loro le vie della gloria. Nessuna preoccupazione, come quella dell’aspirante letterato, è altrettanto acuta, insistente, inguaribile. Per mesi e mesi ogni altro pensiero passa in seconda linea. Mentre si sta vestendo al mattino, mentre passeggia per la via, mentre lavora in ufficio, mentre siede al cinematografo, spesso anche mentre dorme, la grande speranza si affaccia senza tregua al cervello dell’autore, riducendolo in uno stato mentale assai simile, per certi aspetti, a quello degli innamorati.

Appena la parola fine è stata scritta sotto l’ultima riga del romanzo (consideriamo qui l’esempio del romanzo come il più diffuso e più tipico), si manifesta improvvisamente la febbre della pubblicazione, che eccita ancor più le speranze con il lievito dell’impazienza. Ecco l’inesorabile affanno che può durare anche per anni se i vari editori respingeranno via via il manoscritto. Con una cieca fede nella propria opera, l’autore ha l’impressione che folle sitibonde attendano il suo romanzo e che a questa rivelazione si opponga, per misteriosi motivi, l’insipienza degli editori, che non sanno neppure badare al loro interesse. Finito il romanzo, pare che non ci sia un minuto da perdere. Mentre si mobilitano gli amici influenti per le eventuali raccomandazioni e si infligge agli intimi la lettura dei brani più salienti, una dattilografa batte in doppia o tripla copia il romanzo. ...

Quando l’autore, impacchettato meticolosamente il suo lavoro, lo consegna all’ufficio postale, reparto raccomandate, vive in lui una incrollabile certezza: che il romanzo sia un capolavoro e che la pubblicazione sarà per l’editore un affare lucrosissimo. Con l’andar del tempo questa seconda convinzione andrà attenuandosi. Solo più tardi, dopo mesi o anni, anche la prima comincerà a vacillare. Nulla come il tempo guarisce le false illusioni e cancella le prospettive sbagliate.

Oh, se gli scrittori, nessuno escluso, ignoti e famosi, prima di sollecitare gli editori, chiudessero i loro scritti in un cassetto e li rileggessero dopo quattro cinque mesi. Quante delusioni risparmiate, quanti libri inutili e brutti di meno sulle bancarelle. ...

È inevitabile che l’esame di un manoscritto richieda qualche mese. L’autore freme di impazienza, impreca contro la neghittosità degli editori, li accusa di infingardaggine, di mancanza di umanità, concepisce per loro un vero odio, ricorre a tutte le possibili risorse per affrettare, favorevolmente per sé, la procedura. È quello il periodo in cui lettere di raccomandazione di personaggi influenti si ammucchiano sul tavolo del l’editore; in cui il postulante ogni due, tre giorni arrischia, col cuore in gola, una telefonata d’assaggio, sentendosi invariabilmente rispondere dalla telefonista, la quale ormai lo riconosce immediatamente alla voce, che «il signor direttore è in seduta e sarà occupato fino a sera». ...

Spesso, di fronte a un diniego, l’autore è persuaso che le difficoltà siano esclusivamente di indole finanziaria e non gli passa neppur per l’anticamera del cervello che l’editore abbia risposto di no perché il romanzo è brutto. Eccolo quindi proporre alla Casa editrice un contributo, per facilitare la stampa del volume. ...

Respinto dalle maggiori Case editrici, il neo romanziere non si darà per vinto. Genio incompreso, egli batterà alla porta via via degli editori sempre meno noti e accreditati, nell’immutabile convinzione di offrire un affarone. Giù, giù, fino alle tipografie che stampano quasi alla macchia, fino al più basso grado di mortificazione che è quello di verde scritto al piede del frontespizio «Presso l’autore», di dover stampare il romanzo totalmente a proprie spese, senza possibilità di diffusione, senza neppure la speranza che i giornali se ne interessino. Da ciò che si vede giornalmente, dalla nostra piccola esperienza di autori, da ciò che dichiarano gli stessi editori, bisogna onestamente convenire che oggi è troppo facile far pubblicare un romanzo. Non c’è sfogo di grafomane, si può dire, che non trovi il suo stampatore. O di riffe o di raffe, sarà questione di tempo, ma i torchi finiscono sempre col gemere. In verità un romanzo, un libro che possa chiamarsi libro, dovrebbe in un certo qual modo costituire la giustificazione di un’intera vita o almeno di anni di travaglio e di lavoro, dovrebbe soprattutto essere scritto per una reale necessità interiore e non per desiderio di fama, per speranza di lucro o per non farsi dimenticare. ... La facilità di pubblicare un romanzo sembra anzi farsi sempre maggiore. Oggi è più facile di ieri e domani lo sarà più di oggi. Questo almeno secondo il parere di alcuni editori, che scorgono ormai affievolirsi il morboso interesse del pubblico per la letteratura straniera: il periodo d’informazione, per così dire, sta per chiudersi, e la gente ricomincia a rivolgere gli occhi in casa propria. Da ciò un nuovo incoraggiamento agli scrittori nostrani, i quali non domanderanno di meglio per riversare addosso agli editori la valanga dei loro romanzi, tutti capolavori, ben s’intende, tutte altissime opere d’arte, destinate a mondiale e immortale rinomanza.

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da Agenzia Letteraria Internazionale, Milano
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