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 2011  marzo 27 Domenica calendario

MATTONE USA ANCORA IN CRISI

Nel 2008 fu alle radici della grande crisi, che squassò il sistema finanziario e precipitò gli Stati Uniti nella peggior recessione dagli anni Trenta. Tre anni dopo il settore immobiliare è ancora più che mai il tallone d’Achille d’una ripresa fragile, nonostante la crescita del Pil al 3,1% nel quarto trimestre del 2010. Uno dei tasselli cruciali che impongono una prognosi riservata per l’economia, che ostacola un rilancio dell’occupazione.

E che, se non darà segni incoraggianti, potrebbe spingere la Federal Reserve sulla strada di nuove e rischiose operazioni di salvataggio: il QE3, un’altra manovra di quantitative easing, di stimolo straordinario, dopo aver promesso che il QE2 in scadenza a giugno sarebbe stata l’ultima.

I dati più recenti hanno sorpreso anche gli scettici. Le vendite di nuove case, comunicate questa settimane dal Dipartimento del Commercio per il mese di febbraio, sono crollate ai minimi storici, da quando nel 1963 hanno cominciato a essere calcolate. Il calo è stato del 17% su gennaio - e del 28% sull’anno scorso - ad una soglia annuale di 250mila abitazioni. Anche i prezzi sono scivolati: il valore medio è stato di 202.100 dollari, sceso del 13,9% e il più basso dal 2003. Dai picchi del 2006 la "svalutazione" è stata ormai maggiore che durante tutta la Grande Depressione.

Di questo passo occorrerebbero nove mesi solo per smaltire le nuove case già sul mercato, senza che ne siano costruite altre. Di questo passo, cioè, il settore rimarrà nella bufera per almeno un altro anno, probabilmente ben oltre. Tanto più che l’altro vasto segmento del mercato, quello dei passaggi di proprietà di vecchie abitazioni, ha fatto a sua volta segnare ulteriori declini: la National Association of Realtors ha riportato una flessione del 9,6% in febbraio, a 4,88 milioni l’anno. E c’è chi sostiene che il dato, ricavato da una formula che contiene sondaggi e estrapolazioni da piccoli campioni, pecchi semmai di ottimismo: è accusato di sovrastimare l’attività immobiliare del 20 per cento.

I sintomi di una crisi tuttora da superare si trovano in mille microcosmi locali che sommati compongono il dramma nazionale. Una delle patrie del boom prima, del crollo poi, è stata la città di Naples, in Florida: cinque anni fa era suo il primato di mercato più sopravvalutato del paese, con le case monofamiliari che costavano l’85% più di quanto avrebbero dovuto. Ora una casa su tre resta vuota, parte di un esercito di 1,5 milioni di abitazioni al momento abbandonate in Florida. E di un’armata di abitazioni in vendita in America, quattro su dieci, perché il proprietario non riesce a far fronte al mutuo o perché la casa è "underwater", il mutuo ha superato il valore dell’immobile (nel 13% dei casi). Queste vendite forzate sono nuovamente in ascesa dopo esser calate dal 50% al 30 per cento.

Le cifre potrebbero esagerare le difficoltà: a detta del governo è possibile una forte volatilità nelle vendite di case, spesso sensibili al maltempo. Ma la volatilità non basta a spiegare il dramma contenuto in fredde statistiche e che traspare nelle storie della gente. Il mercato rimane soffocato da una spirale perversa di pignoramenti, inchieste sulle pratiche delle banche, credito più avaro, esaurimento di speciali incentivi federali per gli acquisti, eccessi di costruzioni ereditati dagli anni facili. Né può essere sottovalutato l’impatto sull’intera economia di nuove e protratte flessioni immobiliari. Se è vero che il settore rappresenta oggi solo il 2,3% del Pil contro l’oltre 6% di anni passati, le sue ramificazioni restano ampie. Titoli e derivati legati ai mutui sono ancora in tasca a schiere di banche e investitori.

L’impossibilità di vendere e cambiare casa toglie flessibilità a un mercato del lavoro già asfittico, impedendo la ricerca altrove di migliori opportunità occupazionali. E ricchezza - e consumi - di molti americani restano inchiodati al patrimonio immobiliare (due terzi possiedono la loro abitazione): la Fed ha appena stimato che durante la crisi e la recessione ben sei famiglie su dieci sono state colpite, perdendo in media un quinto dei loro averi. Il "net worth" mediano è caduto da 125mila a 96mila dollari tra il 2007 e il 2009. Senza contare che chi aveva portafogli azionari in quegli anni ha visto bruciare fino a un terzo dei suoi risparmi mobiliari.

«Sono preoccupato - ha ammesso Barton Biggs, di Traxin Partners - e tutti dovrebbero esserlo perché la casa rappresenta la metà della ricchezza dell’americano medio». Biggs è convinto che la nuova debolezza debba preoccupare anche la Fed: «Non credo neppure per un attimo che se prezzi e vendite di case continueranno a cadere per altri due o tre mesi il governatore Ben Bernanke porrà fine agli stimoli di politica monetaria. Andremo da QE2 a QE3».

La Banca centrale, di sicuro, ha in corso un dibattito intenso, tra chi teme che le iniezioni di liquidità stiano già creando nuova bolle speculative e siano foriere di futura inflazione e chi sostiene invece la necessità di stimoli eccezionali per rilanciare e consolidare la crescita. Venerdì uno degli esponenti del vertice della Banca centrale considerato ago della bilancia della discussione, Narayana Kocherlakota, si è lasciato andare a dichiarazioni sibilline: un’estensione dell’attuale manovra da 600 miliardi oltre giugno, ha detto, è improbabile ma non impossibile «se le condizioni peggiorassero significativamente rispetto a quanto prevedo».