Antonio d’Anna, ItaliaOggi 26/3/2011, 26 marzo 2011
LA CRISI LIBICA ESPORTA BRACCIANTI
La crisi libica non è solo un problema politico o militare, ma anche agricolo: Tripoli, finché il colonnello Muammar Gheddafi è stato saldamente in sella, impiegava lavoratori emigrati da nazioni vicine. In particolare egiziani. Ma non c’erano solo loro: anche tunisini, algerini e in alcuni casi anche nigeriani, stando alla Fao.
Gli egiziani hanno trovato spazio in Libia perché i libici sono dediti alla pastorizia e non all’agricoltura; ma la principale voce dell’import è rappresentata dai cereali. Soprattutto Libia, Egitto e Tunisia, dipendono (fonte Fao) dall’importazione del cibo, a riprova dello scarso peso dell’agricoltura nazionale. E Tripoli ha bisogno dell’80% di import per coprire il consumo nazionale. A questo si sommano i rincari dei prezzi, una vera e propria mazzata economica. Per questo la Fao ha deciso di distribuire sementi in Libia insieme ad aiuti alimentari: l’idea è di spingere l’agricoltura almeno nelle aree costiere oppure vicine alle città. I fertilizzanti sono destinati a rincarare: il produttore norvegese Yara International ha dichiarato in questi giorni che la sua joint venture Libyan Norwegian Fertilizer Co. è stata chiusa per motivi di sicurezza. E a Bengasi i prezzi del cibo sono cresciuti dal 50 al 75% in più.
L’intervento militare ha significato, per ora, la sospensione (o la fine, a seconda della piega che gli eventi prenderanno) di un impegno italiano nel settore agricolo libico.
A gennaio di quest’anno, infatti, nel corso del 7° Forum mediterraneo della pesca tenutosi a Catania, Roma e Tripoli avevano cercato i primi contatti. Obiettivo: aiutare l’agricoltura libica per iniziare a produrre al di là del Canale di Sicilia pomodori, olive e fiori. Un meeting che aveva lasciato soddisfatti i libici, se un imprenditore tripolino presente al Forum, Abdurrahim Imam, aveva dichiarato all’Ansamed: «I siciliani hanno un’esperienza di lungo corso nell’agricoltura. Queste iniziative finanziarie serviranno a migliorare le relazioni Italia-Libia», relazioni che secondo Imam erano: «Già solide grazie alle nostre affinità culturali e il buon feeling che hanno entrambi i paesi». Già, a quei tempi il Colonnello incoraggiava la cooperazione con l’Italia, magari verso la nascita di, diceva Imam, «aziende a proprietà mista». Al momento i fatti non gli hanno dato ragione.