Francesca Paci, La Stampa 28/3/2011, 28 marzo 2011
PIAZZE ARABE
Al Cairo le vetrine delle librerie e soprattutto le bancarelle di volumi usati nei dintorni di piazza Tahrir sono un termometro interessante dell’umore nazionale. Il giorno dopo la caduta del regime s’erano riempite di colpo di vecchi titoli sul Faraone, raccolte di barzellette sulla polizia, saggi freschi di stampa sulla rivoluzione del 25 gennaio. Da due settimane invece, hanno rispolverato copertine con il faccione di Gheddafi che digrigna i denti e agita il pugno, biografie critiche tenute poco in vista quando Mubarak e il Colonnello erano buoni amici e condividevano lo stesso scarsissimo senso dell’umorismo. L’indice dell’interesse popolare sale e scende. Gli unici testi che non passano mai di moda al Cairo sono però quelli sull’Amerika, tanti, corposi, in arabo, in inglese, in francese. Perchè questa fissazione con gli Usa? Il libraio Khaled risponde con logica rigorosa: «Perchè nel mondo non si muove nulla senza che l’America lo voglia, guardate la no fly zone sulla Libia». Veramente in quel caso la prima iniziativa è stata francese, poi britannica... «Appunto, sono intervenuti perchè gliel’ha detto l’America». Sarkozy non sarebbe contento... Khaled è inamovibile: «Ho studiato scienze politiche all’università, abbiamo una materia che si chiama superpotenze: fino a qualche anno riguardava gli Usa e l’Urss, oggi si concentra sull’America. E poi ha visto le lettere mandate da Gheddafi ai vari leader? Solo con Obama è stato suadente. Si chieda un po’ perché».