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 2011  marzo 26 Sabato calendario

IL CONTAGIO DELLA LIBERTA’ DA AMMAN AL GOLFO PERSICO - L’

affannosa rincorsa per comprendere quanto sta accadendo nel mondo arabo, scosso alle fondamenta da una devastante (ed esaltante) ribellione giovanile, è cominciata ed è stata seguita da osservatori sorpresi e sconcertati, che hanno indossato il salvagente di antiche e consolidate certezze. Convinti insomma che la trasversale rivoluzione rappresenti una specie di 1989 musulmano, con lo scontato accostamento alla caduta del muro di Berlino e al crollo definitivo dell’ impero comunista guidato dall’ Urss. Non è solo così. C’ è qualcosa di diverso. Alcuni analisti avevano coniato una nuova immagine: nel mondo arabo è caduto il «muro della paura», intendendo che, vinta la paura, una nuova generazione assai meno ideologica delle precedenti avrebbe trovato la strada verso la libertà. In realtà, quanto sta accadendo dall’ inizio di quest’ anno non è paragonabile - almeno per ora - a una rivoluzione politica. E’ piuttosto una rivoluzione sociale. Più che un nuovo 1989, verrebbe naturale paragonarla a un nuovo ’ 68. L’ onda ribelle, intrisa di sincretismo, non si è infatti abbandonata al rabbioso risentimento contro i simboli del potere occidentale (gli Stati Uniti, Israele, il colonialismo, il mercato) ma ha scelto come bandiera il diritto alla libertà: senza un cammino predefinito, senza sponsor, senza appartenenze. La brava analista Paola Caridi, autrice del libro «Invisible Arabs», parla oggi di arabi finalmente visibili. Passaggio azzeccato. Anche se, sulle ali dell’ entusiasmo, è difficile escludere che alla fine vi possano essere coloro che metteranno il cappello su rivoluzioni non ancora concluse. Ogni Paese arabo ha una storia, tuttavia stavolta il vero denominatore comune sono i social network della rete che hanno dato voce, nel silenzio di case trasformate in dorate prigioni (il pensiero va all’ Arabia Saudita), soprattutto alle donne, costrette da sempre al silenzio. Certo, immaginare uno sviluppo complessivo e armonico di tutte le ribellioni in corso è praticamente impossibile. Ma, Libia a parte, vi sono molti punti di contatto. Prendiamo il drammatico caso della Siria, cioè dell’ ultimo Paese arabo - in ordine di tempo - ad aver conosciuto la rabbia del popolo. Quanto è accaduto nei giorni scorsi nel Sud del Paese, a ridosso del confine giordano, in una città conservatrice solitamente vicina al potere centrale di Damasco; e quanto è successo a Damasco e nel Nord, persino in quella Latakia da sempre controllata dal potere alauita, rivela la fragilità di un regime che nonostante le promesse progressiste del giovane presidente Bashar el Assad, sembra tornato a vivere ai tempi di suo padre Hafez, quando ogni ribellione veniva repressa con brutale violenza. La memoria corre ad Hama dove furono rasi al suolo interi quartieri: 20.000 morti. E’ pur vero che la consigliera del presidente Bashar, Bouthaina Shaaban, ha detto che il governo varerà immediate riforme e che vi saranno libertà di stampa e aumenti salariali. Ma pochi ci credono e comunque non basterà. La rabbia dei manifestanti non è più controllabile, e analoghe promesse - vedi Egitto - non sono servite.

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IL MONDO ARABO, LE RIVOLTE - L’ Egitto: l’ ascesa islamica L’ Egitto, appunto, cioè il primo Paese arabo. Dopo la massiccia partecipazione al referendum, trasformato in una specie di «primavera araba» della volontà popolare, il Paese è tuttora attraversato da tumulti e scosse difficili da governare. Molti sostengono che i Fratelli musulmani, come scrive il New York Times, rimasti prudentemente nelle retrovie durante la ribellione che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak, potrebbero da un momento all’ altro rivendicare il proprio ruolo e incassare i dividendi politici della rivolta promossa dai giovani manifestanti. Operazione difficile, almeno in tempi brevi, perché l’ anima della rivoluzione non era fideista e tanto meno religiosa. Occorrerà vedere, adesso, se il processo che dovrebbe portare a elezioni presidenziali e politiche si svolgerà senza traumi. L’ Egitto, come la Siria, era una delle cosiddette repubbliche ereditarie. Solo che in Siria il passaggio dei poteri da padre a figlio è avvenuto, in Egitto la ribellione popolare ha impedito che avvenisse. Hosni Mubarak infatti sognava di lasciare la presidenza a suo figlio Gamal. Progetto miseramente fallito. Yemen: il destino di Saleh Come sta fallendo, nello Yemen, il progetto «riformista» del presidente Ali Abdullah Saleh. Riformista per modo di dire perché Saleh si era disinteressato per anni delle condizioni miserabili del suo popolo, mentre aveva concentrato i suoi sforzi, almeno nell’ ultimo decennio, nella collaborazione con gli Usa e nella campagna per neutralizzare il terrorismo internazionale. E poi aveva cercato di sedare le ambizioni delle varie tribù che imponevano la loro volontà sequestrando cittadini stranieri e pretendendo lauti riscatti. Saleh, pur non essendo cosmopolita come l’ egiziano Mubarak, che rappresentava il vero potere politico del mondo arabo, si era fatto un punto d’ onore di comparire il meno possibile. La strage della settimana scorsa, con le sue squadracce che sparavano ad altezza uomo (oltre 50 morti) lo ha segnato, forse per sempre. Abbandonato da alcuni generali, che si sono uniti ai manifestanti, anche ieri è stato aspramente contestato. L’ unico sollievo gli è venuto dai dimostranti che lo sostenevano. Ma è un’ effimera parentesi, perché il destino sembra segnato.
Giordania: cresce al rabbia L’ Autorità nazionale palestinese è silenziosa, anche se i fermenti dei più giovani si manifestano in Cisgiordania, parallelamente a quanto accade nella Striscia di Gaza, controllata dai fondamentalisti di Hamas. Paradossalmente però, a Gaza la protesta non ha riguardato soltanto i laici del Fatah o lo Stato ebraico, ma gli stessi dirigenti integralisti. L’ effetto domino che sta travolgendo tutti i Paesi arabi allontana la possibile soluzione dello storico conflitto arabo-israeliano, quindi la rabbia dei giovani si accentua. Come non vedere quest’ onda inarrestabile anche nel vicino regno di Giordania, che ha il 65 per cento della popolazione di origine palestinese? Da settimane, ogni venerdì vi sono manifestazioni di protesta nel regno di Abdullah (ieri un morto e una cinquantina di feriti). La gente chiede di calmierare i prezzi degli alimentari (in costante aumento), e soprattutto riforme politiche, forse con l’ obiettivo di avere un giorno una monarchia costituzionale. Tuttavia, sono tanti i problemi che affliggono il sovrano: a cominciare dalle tensioni in alcune tribù beduine, da sempre fedelissime alla monarchia.
Bahrein: intervento esterno Vi sono altre monarchie che tremano. Nel Bahrein il re (sunnita) è aspramente contestato dalla maggioranza della popolazione (sciita). A sostenere il sovrano è intervenuta l’ Arabia Saudita, che ha inviato i suoi agenti per aiutare l’ alleato. Un intervento in un altro Paese che nessuno ha sanzionato: né la Lega araba, né la comunità internazionale, a cominciare dagli Usa che sono alleati sia dell’ Arabia Saudita che del Bahrein.
Arabia Saudita: i rischi L’ Arabia Saudita, per ora, ha conosciuto soltanto i tuoni anticipatori della tempesta. Certo è curioso pensare che un destino comune, un giorno, potrebbe accostare il Paese più ricco del mondo arabo, l’ Arabia saudita, al Paese più povero, lo Yemen. Rivoluzione globale, appunto.
Antonio Ferrari