Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 28 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 28 MARZO 2011

Dal 15 marzo piccole e grandi proteste agitano la Siria. [1] La crisi si è acuita da venerdì, quando manifestazioni contro il governo di Bashar al Assad si sono registrate in più di 10 città: da Samnin (almeno 20 morti causati dagli scontri con la polizia), a Daraa (altre tre vittime), a Damasco (una decina di arresti). Geraldina Colotti: «A Damasco e a Qraya sono scesi in piazza anche migliaia di sostenitori del governo e del Baath, il partito unico per la Costituzione. Il bilancio complessivo è di oltre 30 vittime». [2]

Più che con il presidente, succeduto al padre Hafez nel 2000, i manifestanti ce l’hanno con il fratello Maher, capo delle guardie presidenziali, e col cugino Rami Makhlouf, che controlla importanti settori dell’economia. [2] Per molti oppositori la «giornata della dignità» dichiarata venerdì è un altro passo verso una seconda indipendenza del paese (dopo quella del 1946). Colotti: «Altri, però, temono che l’eventuale caduta del regime possa trascinare il paese nella frammentazione etnico-religiosa. La Siria è un paese sunnita, ma il 20% che costituisce il gruppo al potere (così come l’80% degli alti gradi dell’esercito) è di confessione alawita (vicina agli sciiti come quelli di Hezbollah libanese)». [2]

La Siria accumula problemi economici e demografici. Maurizio Chierici: «Le braccia che lavoravano in Libano sono tornate dalla Beirut occupata militarmente nel 1976 con la benedizione Onu: Truppe Arabe di Dissuasione incaricate di pacificare la capitale che i notabili dell’Islam e i notabili cristiano-maroniti distruggevano armi in pugno. Strana pacificazione: militari e carri siriani ad ogni angolo mentre la ricostruzione era affidata alle braccia degli emigranti che arrivavano da Damasco, larve di uomini, dormivano nella sabbia dei cantieri nei quali erano quasi prigionieri». [3]

In Libano la Siria faceva politica senza averne titolo. Chierici: «Assassinava quei politici libanesi che non sopportavano l’occupazione mascherata: Kemal Joumblat, leader socialista e principe della minoranza drusa e nel 2005 Rafiq Hariri, costruttore selvaggio, ex primo ministro dalla doppia cittadinanza libanese-saudita. Scandalo internazionale, tutti a casa: truppe disoccupate, migliaia di manovali senza lavoro. Senza contare che metà della popolazione ha meno di 15 anni e non sa cosa sperare». [3] Entro il 2050 la popolazione raddoppierà, raggiungendo quota 34 milioni. [4]

Anche il petrolio è alle ultime gocce. [3] Dal 2015 la Siria passerà da esportatore a importatore di greggio. Poiché oggi l’esportazione di prodotti manufatturieri rappresenta solo il 3,1% del Pil, servirà una grande trasformazione. L’industria siriana è inoltre ancora pesantemente controllata dallo Stato. Avvenire: «Secondo quanto sostiene il giornalista siriano Acram al-Bouni in una sua analisi, il presidente usa il fatto di avere circa il 50% della popolazione a libro paga, ovvero come dipendenti statali, come ulteriore mezzo per mantenere inalterato il potere». [4]

Gli Assad governano la Siria dal 1971, più o meno da quando Gheddafi è a capo della Libia. Assad I sembrava in verità destinato a una breve carriera di dittatore. Bernardo Valli: «Ero a Beirut in quei giorni e non avrei puntato un centesimo su di lui. Apparteneva a una minoranza, era un alauita, una corrente dell’Islam relegata in Siria sulle montagne, e quindi non avrebbe retto, secondo i sofisticati analisti di Beirut, all’inevitabile rivalità delle altre comunità, assai più numerose e assuefatte a governare. Uno dopo l’altro, gli amici e colleghi libanesi e siriani autori di quella profezia morirono invece prima di lui». [5]

Ad Assad I, morto nel suo letto, doveva succedere il primogenito Basil, morto in un incidente. Chierici: «Allora il padre padrone educa frettolosamente Bashar: giura la presidenza e si affida alla corte familiare che amministra ogni battito del paese. Fratelli, zii, generi, cognati con le mani su banche, forze armate, comandi di milizie, guardie presidenziali, compagnie di combattimento. Bashar sta promettendo a chi grida di cancellare lo stato d’emergenza e aumentare le paghe ma solo ai funzionari. La gente deve portare pazienza». [3]

Assad II è un falso riformatore come dicono i manifestanti? Valli: «Laureato in medicina, e poi convertito alla politica per prendere la successione del padre, egli si prestava come un uomo aperto alla modernità, appassionato d’informatica ed esperto internauta. Ma ha fatto disperdere brutalmente le timide manifestazioni dei giovani armati di candele riunitisi la sera a Damasco per appoggiare l’insurrezione del Cairo. Il caso di Tal al-Malluhi, una ragazza di diciannove anni, autrice di blog impertinenti, arrestata, maltrattata, condotta in tribunale con gli occhi bendati e le manette, e condannata a cinque anni per spionaggio a favore degli Stati Uniti, non ha reso credibile la conversione democratica». [5]

Per la prima volta da decenni, venerdì migliaia di siriani hanno violato una delle linee rosse da sempre imposte dal regime, prendendo di mira la politica di «resistenza» contro Israele. Lorenzo Trombetta: «Il fronte del Golan contro lo Stato ebraico è da trent’anni il più tranquillo di tutto il Medio Oriente, nonostante i due Paesi siano nemici e belligeranti dalle loro rispettive nascite come Stati moderni indipendenti e nonostante la Siria sia stretta alleata dell’Iran, del movimento sciita libanese Hezbollah e di quello radicale palestinese Hamas». [6]

La legge d’emergenza, di cui si chiede da tempo l’abrogazione, fu introdotta nel 1963 dal partito Baath proprio col pretesto della presenza del nemico esterno. Trombetta: «“Si vuole colpire il fronte della Resistenza (antiisraeliana)”, aveva ammonito giovedì il consigliere del presidente Assad a conclusione della sua conferenza stampa. Ma sono invece i cittadini disarmati, affamati e senza lavoro dell’Hawran a mettere a nudo le ambiguità di politica estera, tradizionale punto di forza della retorica di un regime che deve fare i conti con una rivolta interna senza precedenti». [6]

Forse molti siriani in patria o in esilio sono troppo ottimisti. Cecilia Zecchinelli: «E non perché le marce a favore di Assad organizzate venerdì soprattutto nella capitale indichino un sostegno di massa. Piuttosto perché — la Libia insegna — cambiare un regime non è cosa da poco. Ma è vero che se venerdì sono successe cose mai viste — l’aver dato alla fiamme la statua in bronzo di Hafez nel centro di Deraa o l’attacco delle forze speciali contro i manifestanti dentro la sala della preghiera nella storica moschea degli Omaiadi nella capitale — è anche un fatto che per la prima volta il mondo preme adesso esplicitamente su Damasco perché conceda democrazia all’interno, non perché cambi la sua politica estera». [7]

Non sarà facile scalzare Assad. Valli: «Il suo potere ha radici profonde. E il sangue scorre facilmente in Siria. L’esercito esiste e conta. Come ha contato e conta in Egitto; e non conta invece in Libia, dove Gheddafi un esercito vero non l’ha mai creato». [5] Mentre le cancellerie di mezzo mondo erano intente a scrutare i corridoi di Bruxelles attendendo la composizione dei dissidi atlantici sul passaggio del comando di Odyssey Dawn dal Pentagono alla Nato, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha spostato il focus sulla Siria, lasciando intendere che il tassello di Damasco vale molto nel mosaico della primavera araba. [8]

Nella rivoluzione araba che infuria, la Siria di Assad presenta la peculiarità di essere antiamericana, al contrario della Tunisia dei Ben Ali e dell’Egitto di Mubarak. Valli: «Giocando sulla strategica posizione della Siria (sull’asse della “Mezzaluna fertile” con l’Iraq e limitrofa anche del Libano, della Giordania, della Turchia e d’Israele), i due Assad padre e figlio, al contrario dell’Egitto dello Yemen e della Giordania non hanno mai stretto un’alleanza con gli Stati Uniti e hanno mantenuto relazioni privilegiate con l’Iran, dopo la rivoluzione khomeinista». [5]

Vari motivi rendono cruciale l’evolversi della situazione in Siria. Maurizio Molinari: «Primo: se finora le rivolte hanno investito il Nord Africa e la Penisola Arabica, ora arrivano nel cuore dell’asse Iran-Siria-Libano, avversario strategico di Washington tanto sul nucleare di Teheran che sulla pace in Medio Oriente. Secondo: se Ben Ali, Mubarak e Gheddafi assieme ai leader di Yemen e Bahrein rappresentano autocrazie e regimi appesantiti da decadi di illibertà, Bashar Assad è invece uno dei governanti più giovani e da meno tempo al potere, ma le sue timide promesse di riforme non sembrano più sufficienti a placare le piazze, lasciando intendere che anche la Giordania di re Abdallah e il Marocco di Mohamed VI potrebbero essere a rischio». [8]

Terzo: se i generali siriani dovessero seguire l’esempio dei colleghi egiziani nel non difendere un regime delegittimato, «il ruolo delle forze armate nel consentire le rivoluzioni diventerebbe una costante regionale, proprio come avvenne in America Latina e in Estremo Oriente negli Anni Ottanta» (Molinari). [8] Comunque finisca, Assad si sta comportando in modo più razionale di molti leader regionali che l’hanno preceduto nello scontro con la piazza. Francesca Paci: «La tattica del Presidente siriano, che pure sta colpendo duro contro i dissidenti, ricorda piuttosto le sortite in contropiede nella metà campo ribelle dei coetanei sovrani giordano e marocchino, entrambi ancora abilmente distanti dalla linea di non ritorno». [9]

La situazione siriana non è quella egiziana. Il politologo Gilles Kepel, grande specialista del mondo arabo: «L’esercito è legatissimo al potere perché sia i militari che gli uomini del regime appartengono alla minoranza alawita, dunque sciita, che governa un Paese a maggioranza sunnita. Quindi, è improbabile che l’esercito voglia aprire una crisi che consegnerebbe la Siria ai sunniti». [10] Fawaz A. Gerges, massimo esperto di politiche mediorientali alla London School of Economics di Londra: «Il regime e l’esercito sono legati in modo clanico, inseparabili, una fortezza alawita da cui non ci saranno defezioni». Paci: «Il Presidente siriano potrebbe invece essere costretto a concedere di più sotto la pressione del potente vicino turco, preoccupato che una richiesta di democrazia ai confini possa ridestare gli irredentisti curdi». [9]

Note (tutte le notizie sono tratte dai giornali del 26/3): [1] Alix Van Buren, la Repubblica; [2] Geraldina Colotti, il manifesto; [3] Maurizio Chierici, il Fatto Quotidiano; [4] Avvenire; [5] Bernardo Valli, la Repubblica; [6] Lorenzo Trombetta, La Stampa; [7] Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera; [8] Maurizio Molinari, La Stampa; [9] Francesca Paci, La Stampa; [10] Alberto Mattioli, La Stampa.