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 2011  marzo 26 Sabato calendario

COME IN UN ROMANZO

Capita a volte di scrivere un romanzo su un’isola e le minacce ambientali, della criminalità organizzata, che ne attentano legalità e bellezza. Capita di chiamare alcuni personaggi col loro nome, quello vero, e per quanto ci si sforzi di oggettivare il racconto capita di infilare nella trama molte delle storie di malaffare ascoltate per anni (e ritenute a volte delle esagerazioni) dalla viva voce degli isolani onesti. Infine capita, un giorno, di aprire il giornale e di leggere che in quell’isola (Ponza) aleggia il sospetto di infiltrazioni camorristiche e che il pm della Procura di Latina Giuseppe Miliano chiede il giudizio immediato per una trentina di persone.
L’autore del romanzo abbassa il giornale e sente in petto una duplice emozione: sconforto e euforia.
L’EUFORIA è di bassa lega, va ammesso. Accorgersi di aver costruito una finzione vera come la realtà, fa girare la testa. Coniuga, soprattutto, per un istante, la passione per la letteratura con l’impegno che a volte la cultura sa esprimere. Non era solo un romanzo, scritto per intrattenere, appassionare. Tra quelle pagine albergava qualcosa di più, capace, ora più evidentemente che mai, di far riflettere sullo stato del Paese, precipitato nel baratro del malaffare, della depredazione, della truffa. Ponza, teatro della vita come della trama, può godere anche della difesa di un libro. E Dio sa quanto ne ha bisogno.
Lo sconforto, tuttavia, sopraffà l’istante di ebbrezza. Quante volte l’autore ha ascoltato dai suoi amici ponzesi invettive, accuse senza prove, denunce effimere contro malavitosi e orditi machiavellici, senza prestargli la dovuta attenzione? Anzi, considerandole uno sfogo perdente e minoritario , un po’ genericamente calunnioso, privo di alcun fondamento? Quante volte capita a noi tutti di viaggiare per il Paese e di incontrare anime salve che non perdono il fiato nel gridare al sopruso, alla sopraffazione, a cui non destiniamo che un ascolto distratto, tacciandoli spesso per pessimisti cronici che vedono nemici a ogni angolo di strada? E quante volte al bar, sotto casa, si sente una voce superare le altre e sostenere che sta avvenendo qualcosa che non va, senza che nulla accada? Lo sconforto scivola rapidamente nel senso di colpa, individuale e collettivo. I padroni di quelle voci, è triste dirlo, hanno più spesso ragione che torto, almeno in un Paese come il nostro.
A PONZA, secondo il pm, l’infiltrazione camorristica è in atto. Nell’isola che Folco Quilici considera una delle più belle del mondo, come in un romanzo, circolano molti uomini senza vento, gente senza scurpoli, che come recita il nome dell’operazione investigativa (“Ponza Nostra”) reputano loro ciò che è anche mio, nostro, di tutti. Il motivo è l’attività portuale, che è prima un business edilizio e poi di servizi. Un motivo valido e sufficiente per bruciare capannoni , pestare professionisti, spaventare, intimidire, estorcere. Cosa non difficile in un’isola molto vicina ai territori storici della camorra, su cui le forze dell’ordine sono presenti in numero troppo esiguo, a volte senza ufficiali a rappresentarle, come si fa generalmente con gli avamposti dimenticati, dove non serve che lo Stato sia così presente, e dove la sconfitta della legalità è considerata più possibile che altrove. L’aria che si respira in posti così finisce coll’essere viziata da un andazzo diffuso di lassismo, che ho potuto constatare più volte di persona. Mi è capitato, ad esempio, di atterrare a Ponza in barca a vela mentre lavoravo come skipper. Avevo chiesto di poter sostare una notte nei posti in transito, quelli in cui per legge non si paga. Qualcuno però, apertamente e senza alcun ritegno, mi chiese venti euro e non mi diede neppure una ricevuta. Ne scrissi sul Fatto e mi arrivò all’orecchio, puntuale, il mugugno. Qualcuno che ricopre cariche ufficiali, che avrebbe dovuto ringraziarmi per aver denunciato pubblicamente il malcostume, borbottò stizzito che avrei dovuto evitare quell’articolo, che era meglio andare a parlare di persona con la Finanza o la Capitaneria. Meglio non fare polveroni per una faccenda irrilevante come venti euro e una minima frode fiscale. Diversità di opinioni sul concetto di legalità, di reato e di denuncia. Ma cosa dovremmo aspettarci da governi che dovrebbero puntare ogni risorsa su turismo e servizi e lasciano che il Paese venga invece rosicchiato a morsi dalla speculazione?
Una richiesta di giudizio non è una condanna, va ripetuto anche se è pleonastico. Per quel che ne so, inoltre, tra quelle richieste ci sono colpevoli potenziali e innocenti di fatto, caduti tutti, immagino, nella grande rete delle intercettazioni telefoniche e delle indagini, che per prendere certamente un colpevole arraffano anche chi gli sta intorno. E’ normale che accada, purché poi si sappia separare il pesce buono da quello marcio una volta tirata la rete. Cosa che ci si augura fortemente, soprattutto in un caso come quello ponzese.
ALLO SCRITTORE resta l’amaro di averci preso, di aver ambientato nell’isola giusta una storiaccia di criminalità e di resistenza. Consolazione magra che non riesce ad addolcire l’ennesima conferma alle voci che denunciano il ladrocinio sistematico e l’incuria della politica e delle istituzioni. In Italia c’è ancora gente che lamenta e grida. Sono i pochi che tengono al mare, al Paese, e si indignano, strepitano, battono i piedi, inalscoltati, mal tollerati, tenuti per strani, eccentrici, disfattisti, ma che troppo spesso, maledizione, hanno
ragione.