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 2011  marzo 26 Sabato calendario

WASHINGTON —

Chi dirige la campagna di Libia? In tanti. L’accordo sul passaggio del comando alla Nato non ha ancora risolto del tutto i contrasti. Gli Usa, la Turchia e l’Italia pensano di averla spuntata. La Francia, invece, ha in mente altro. Un comitato politico ristretto e uno allargato che dettano le linee guida mentre la Nato coordina gli aspetti operativi. Ora si tratta, ma intanto i militari devono fare del loro meglio per evitare pasticci. I comandi L’attacco alla Libia è stato lanciato da un comando triplo: uno francese a Mont Verdun (Lione), uno britannico a Northwood, uno americano a Stoccarda (Germania). La flottiglia Nato— 16 unità— è diretta dal contrammiraglio italiano Rinaldo Veri (basato a Napoli). Dopo la semi-intesa di giovedì, nuova decisione: le forze risponderanno al Joint Force Command (Napoli) e al Combined Air Operations Center di Poggio Renatico (Ferrara). Nominato comandante il generale canadese Charles Bouchard. Due coalizioni E’ possibile che — con accordo o meno — agiscano in Libia due coalizioni. Una, che oltre a imporre la no-fly zone, bombarda anche a terra. E ne farebbero parte — come forze principali— Francia, Usa, Gran Bretagna, Canada. Quindi una seconda entità che si limita solo al pattugliamento: in questa fila l’Italia, la Spagna, la Norvegia, qualche altro partner e i Paesi arabi. Un’impostazione che porta a regole di ingaggio diverse. In Afghanistan, per fare un parallelo, gli Amx italiani per lungo tempo hanno rinunciato all’uso delle bombe per evitare danni collaterali. Cosa capita se tank lealisti minacciano una colonna di profughi e nel settore c’è una coppia di caccia di un Paese che vuole solo pattugliare? I piloti possono decidere di non attaccare aspettando che siano altri a farlo. A volte c’è il tempo, in altre occasioni meno. La disponibilità a fare fuoco può anche incidere sui settori di intervento. I «pattugliatori» restano nelle zone dove la presenza di truppe governative è ridotta o inesistente, gli «sparatori» aumentano le azioni nell’Ovest della Libia. La risoluzione Onu è abbastanza ambigua per lasciare spazio alle interpretazioni. Recita che la coalizione deve adottare le misure necessarie per proteggere i civili. E la minaccia è variegata: può essere un blindato o un gruppo di miliziani. Allo stesso modo può cambiare la risposta. Un rischioso passaggio a bassa quota (i libici hanno ancora missili contro questo tipo di voli), una raffica di cannoncino, una bomba laser. L’avanzata Consideriamo cosa è accaduto nelle ultime 48 ore attorno a Ajdabiya. La coalizione — con jet francesi e inglesi— ha sferrato numerosi raid usando bombe sofisticate. Un’azione che potrebbe permettere agli insorti di liberarla dai governativi e di avanzare verso Brega e Ras Lanuf. Sono i rivoluzionari all’offensiva e non il contrario. In questo caso l’alleanza svolge un ruolo di supporto diretto. Di nuovo, gli «sparatori» — come Francia e Gran Bretagna — sono in prima linea, gli altri— come l’Italia— si tengono lontani. Certo, chi vuole intervenire potrà sempre sostenere che ci sono degli abitanti assediati e che devono essere salvati. Altro caso. Un reparto lealista si ammutina a Tripoli. Il blitz dal cielo può decidere lo scontro. La Francia non ha dubbi su cosa fare, altri sì. Il bersaglio La questione del comando diventa ancora più sensibile su un punto chiave. Il destino di Gheddafi. Francesi e britannici hanno fatto capire che è un bersaglio. Cosa accadrà quando la Nato assumerà la leadership: proseguirà la caccia al dittatore? Vi sono Paesi— sempre l’Italia ma anche la Turchia — che non vogliono la scomparsa del Colonnello. Anzi sono al lavoro per trovargli una via d’uscita. E ora alla coalizione partecipano due Paesi arabi: approveranno un’eventuale eliminazione? Infatti, il presidente Sarkozy ha sottolineato: «Cosa c’entra la Nato con Qatar ed Emirati…» . Lo dice per ribadire che l’Alleanza Atlantica non è la soluzione ideale e per avere le mani libere per togliere di mezzo Gheddafi. Guido Olimpio © RIPRODUZIONE RISERVATA