Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 20 Domenica calendario

SPORT ESTREMI PER FARE CARRIERA

Sono passati tre anni da quando Federico Baccomo, ex avvocato d’affari con la passione per la scrittura, descriveva, sotto il falso nome di Duchesne, sul blog "Studio illegale", mediocrità e debolezze dei professionisti del diritto. Il diario (che è già un libro e presto sarà un film) diventò in pochi mesi un fenomeno della Rete grazie agli impietosi ritratti dei colleghi. Eccone uno datato 29 aprile 2008:

«- "Ti dicevo. Sto leggendo un libro illuminante. Ma veramente. L’anima e il suo destino. Un certo Mancuso, mi sembra. Veramente profondo".

- "Mmm... però non so, sono sincero, a me queste storie un po’ campate in aria, misteri, fantascienza, Codice Da Vinci, non è che mi facciano proprio impazzire".

- "No. Questo è un saggio".

- "Ma io non sto mettendo in dubbio l’intelligenza di ’sto tizio, ci mancherebbe. È proprio una cosa mia".

- "Ma non l’autore. Il libro, è un saggio".

- "Ah".

- "Parla dell’aldilà, della vita eterna".

- "Io sto leggendo un libro di Pasolini".

- "Mi dicono sia parecchio porcello".

- "Ma neanche tanto. Un pochino".

- "Porcello porcello. Altroché"».

Sarà che la crisi economica e la conseguente trasposizione letteraria (da Union Atlantic di Adam Haslett a I privilegiati di Jonathan Dee) e cinematografica (Wall Street 2 di Oliver Stone) hanno riportato sulla scena la rappresentazione di un mondo arido di idee e ossessionato dai soldi, fatto sta che i pregiudizi sulla scarsa cultura dei rampolli della finanza sono duri a morire. Adesso si è aggiunto uno studio della Northwestern University, a cura di Lauren Riviera, docente di management & organizations. Secondo la ricerca, condotta su un vasto campione di responsabili delle risorse umane di grandi aziende americane, per avere un lavoro in una banca d’investimenti o in una multinazionale è fondamentale «non essere un topo da biblioteca». Più che il percorso formativo, gli studi, gli interessi umanistici, quello che conta è il nome dell’università di provenienza: nel caso degli Stati Uniti, Harvard, Yale, Princeton e (forse) Stanford sono un passepartout ottimo. L’imperativo per fare carriera è: «Non sembrare noiosi, pedanti o marionette». Insomma meglio avere sul curriculum una settimana di freestyle motocross nel deserto del Sahara piuttosto che un PhD in filologia romanza. I risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista «Research in Social Stratification and Mobility», hanno infastidito la comunità letteraria americana al punto che sul blog del New Yorker «The Book Bench» è partita una campagna per la difesa del topo da biblioteca.

In Italia dove c’è anche chi ha fatto di certe «debolezze» dei Ceo nostrani un business di successo – Francesco Bogliari, per esempio, manager editoriale e fortunato autore del Grande libro della letteratura per manager, 50 opere letterarie proposte in chiave aziendale –, c’è chi difende le nuove generazioni della finanza e del management. iPaola Dubini, direttrice del corso di laurea in E iconomia e management per arte, cultura e comunicazione alla Bocconi di Milano e del centro di ricerca Ask sull’industria culturale , spiega: i «La fascia alta d i istudenti e neolaureati è migliore di quella del passato: i grandi i d el futuro i hanno una preparazione umanistica e i una passione per le arti solida i». Attitudini che spesso li portano anche ad abbandonare il percorso degli affari. «Due eccellenti laureati della Bocconi Gabriele Vanoni e Stefania Gerevini – i racconta Dubini – i sono oggi , i rispettivamente , i diplomando in composizione ad Harvard e una famosa i bizantinist a i». Q iuelli che invece restano a destreggiarsi tra icause, iconti e hedge fund, pur iconservando la passione per saggi e poesie, isi riconoscono subito: «Hanno una curiosità intellettuale contagiosa ie tendenzialmente sono impegnat i i nel sociale». È il caso di Diva Moriani, amministratore delegato di i I2 Capital Partners i, che ha fatto della sua passione per l’arte contemporanea una «missione» verso il fondo di private equity i, invitando i ogni anno artisti al campo estivo, il Dynamo Camp, organizzato per bambini affetti da i problemi oncologici. Se Giorgio Mancuso, quarantenne consigliere di Equinox SA con un passato in prestigiosi studi d’affari iinternazionali , i dà la colpa ai senior partner: i«All’inizio diffondevano l ’ iidea che il mercato volesse solo gente ultraspecializzata ie icon competenze ipuramente tecniche», Lorenzo Salieri, partner di 3i Italia , descrive così l’importanza della letteratura nella sua vita professionale: «Gli ultimi libri che ho letto L’arte della guerra di Sun Tzu e Suite francese di Irène Némirovsky sono entrambi funzionali: il primo infonde il valore della strategia e la disciplina, il secondo – nella descrizione delle fughe da Parigi bombardata dai tedeschi – ricorda la differenza tra emergenza e priorità, essenziale nel nostro lavoro». Il 33enne Alex Fattorini di Dgpa Sgr dà un valore più pratico alla conoscenza: «Se hai maggiori argomenti di discussione, ci sono più possibilità che la colazione di lavoro vada bene». Matteo Lunelli, 37 anni, vicepresidente delle Cantine Ferrari, è fiero di aver fatto il liceo classico: «I nostri prodotti parlano di noi, trasportano il nostro background culturale», afferma. Non vale solo per il vino ma anche per le persone. Così nella cucina della Locanda Margon di Ravina, i Lunelli hanno voluto lo chef Alfio Ghezzi, un quasi laureato in Lettere classiche. Forse solo con la cultura non si mangerà, ma certamente si cucina pure.