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 2011  marzo 31 Giovedì calendario

HUFFINGTON POST ALL’ITALIANA

In principio fu Dagospia, il sito gossiparo che dal 2000 si occupa dei "morti di fama" aggregando articoli altrui, commenti sarcastici e scatti originali dei potenti. Con questa formula la creatura di Roberto D’Agostino ha da tempo fatto il pieno di accessi e di entrate: forte di 84 mila utenti unici al giorno, secondo i dati di gennaio di Audiweb - il database condiviso sul traffico Internet italiano - Dagospia nel 2009 ha incassato 538 mila euro con un utile di 113 mila euro. Il modello D’Agostino, quasi un "one-man site" dai costi contenuti - solo 44 mila euro all’anno per il personale - è modellato anche visivamente all’aggregatore americano "Drudge Report". Che sembra ispirare anche un’altra testata sul Web: "Blitz quotidiano", nato a fine 2009 per iniziativa di Marco Benedetto (ex ad del Gruppo Espresso) con un investimento di soli 100 mila euro, una redazione ridotta e un approccio generalista, per circa 40 mila utenti unici al giorno.
Comunque la via italiana al giornalismo soltanto on line, svincolato da testate tradizionali su carta, sta battendo anche una pista diversa. Che punta su una dote cospicua di investimenti, contenuti di qualità, un orizzonte internazionale e un prodotto grafico curato. Tutto ciò porterà visitatori e, soprattutto, un modello economico sostenibile? La risposta arriverà da qui ai prossimi due o tre anni.
I numi tutelari di questa recente nidiata di siti sono due modelli americani, "Huffington Post" e "Daily Beast". Al primo si rifà idealmente il sito italiano "Il Post" lanciato giusto un anno fa dal giornalista Luca Sofri. Una testata che intende aggregare in modo intelligente i contenuti del Web più che produrne di originali, scardinando la gerarchia stereotipata delle notizie. L’impronta è quella della Rete (del resto Sofri è anche, con Wittgenstein.it, un noto blogger): segnalazioni di altri siti, attenzione agli esteri e alla società digitale, una lista di firme - dal politico Pd Pippo Civati al giornalista Filippo Facci - che collaborano gratuitamente. Al desk, nella piccola redazione affacciata su Parco Sempione a Milano, cinque giovani assunti come giornalisti praticanti, attraverso un reclutamento on line. "Vogliamo essere un dee-jay dell’informazione", spiega Sofri. Per farlo può contare su circa un milione di euro di finanziamento iniziale, raccolti tra "imprenditori illuminati che però preferiscono non apparire" (tra i soci spicca tuttavia Banzai, importante operatore del mercato Internet italiano, che cura anche l’advertising del sito).
Quando si parla di numeri, Sofri non vuole dire niente. Qualche punto fermo tuttavia c’è: i dati Audiweb di gennaio indicano circa 28 mila utenti unici e 131 mila pagine viste al giorno. Come si traduce finanziariamente questo dato? Qui si entra nel regno delle congetture perché ci sono molte variabili in gioco: ipotizzando quattro milioni di pagine viste al mese moltiplicate per un cpm (costo per mille impression, uno degli indicatori con cui si vende la pubblicità on line) pari a cinque euro, in teoria la testata potrebbe fatturare circa 200 mila euro all’anno. Tuttavia, avvisa Davide Pozzi, consulente di Web marketing noto come Tagliaerbe.com, "il cpm varia da caso a caso. Senza tutti i parametri a disposizione, fare i conti in tasca a un sito è molto complicato". È evidente tuttavia che fare una testata on line è soprattutto una scommessa per il futuro, che punta su un allargamento graduale dei cybernauti italiani (oggi sono circa metà della popolazione) e quindi su una crescita della pubblicità on line.
È vero poi che oltre alla quantità bisogna guardare la "qualità" dei numeri: "Metà del nostro traffico è diretto", dice Sofri: "Un terzo viene da Google, il resto da vari siti e da Facebook", dove "il Post" conta su 6.400 amici. La piattaforma di Zuckerberg è infatti sempre più cruciale per le testate on line: "Il bottone Mi Piace è dirompente", dice Francesco Tinti, esperto di web marketing: "Certi blog hanno fino al 45 per cento di traffico dai social network".
Ma se "il Post" è, per dirla con Sofri, "il Chievo del campionato", il suo concorrente "Lettera43" vorrebbe essere invece il Milan o l’Inter. Nata lo scorso ottobre per iniziativa di Paolo Madron, giornalista economico di lungo corso, la testata si regge su cinque milioni di euro di patrimonio, raccolti tra i soci fondatori e i finanziatori, tra cui la holding Sator di Matteo Arpe, ex ad di Capitalia. Il punto di pareggio è previsto tra il terzo e il quarto anno. In redazione una ventina di giornalisti, poi ridotti a 12, e un centinaio di collaboratori, che producono circa 70 articoli al giorno, dalle 5 a mezzanotte.
La formula è quella del daily magazine, un giornale generalista con canali tematici verticali - dai motori al cibo - che non disdegna il gossip o le fotogallery. "Del resto è con quelli che si fanno molti accessi", commenta Madron. Ma ci sono anche approfondimenti e notizie: "Vogliamo mescolare, come il "Daily Beast", alto e basso. E daremo botte a destra e a sinistra".
E qualche polemica in Rete quelli di "Lettera43" l’hanno già sollevata. Ad esempio quando hanno dichiarato, a 100 giorni dal lancio, di avere 130 mila utenti unici al dì. "Che film hanno visto?", ha twittato all’epoca un giornalista del sito concorrente "Linkiesta". Secondo Audiweb, ad esempio, a gennaio i visitatori unici di "Lettera43" erano 22 mila al giorno. Il punto è che per leggere e confrontare certi dati bisogna capire quale metrica è stata adottata. "Sono i numeri con cui la nostra concessionaria vende la pubblicità", taglia corto Madron: "Chiaramente abbiamo investito molto per il posizionamento del sito".
Del resto "Lettera43" (il nome viene dall’anno in cui secondo il giornalista Peter Kahn verrà pubblicato l’ultimo numero cartaceo del "New York Times", il 2043) è una testata ambiziosa e aspira a competere con i siti dei quotidiani tradizionali. E proprio come loro tende a essere avara di collegamenti esterni, che invece sono onnipresenti nelle testate on line americane.
Diversa filosofia, ma stessa politica dei link, per "Linkiesta", sito lanciato lo scorso gennaio con un capitale di 1,5 milioni di euro divisi tra una settantina di soci, tra cui i banchieri Guido Roberto Vitale e Alessandro Profumo, l’imprenditrice Anna Maria Artoni, e altri nomi di peso. Nessuno però può detenere più del 5 per cento del capitale sociale. In redazione 13 giornalisti assunti: giovani provenienti dal quotidiano "il Riformista" insieme a professionisti, attratti anche dalla solidità finanziaria dell’iniziativa. A guidarli il direttore Jacopo Tondelli, 32 anni, ex "Corriere della Sera": "L’attenzione è rivolta all’economia, agli esteri, alla politica", spiega: "Non siamo berlusconiani, ma non facciamo nemmeno sconti al cambiamento". In termini numerici puntano a un obiettivo abbordabile: 25 mila utenti unici al giorno entro un anno. Il modello di business de "Linkiesta" mescola pubblicità e abbonamenti, prevedendo per il futuro alcuni contenuti a pagamento.
All’altro capo dello spettro ci sono le testate basate sui contributi degli utenti, in rapporto di osmosi con una comunità di riferimento. Tra queste, in Italia si distinguono "AgoraVox.it", sito di giornalismo partecipativo, e "Giornalettismo" che, secondo il servizio di analisi Blogbabel, è il terzo superblog per link ricevuti dopo "il Post" e quello di Beppe Grillo.
E a proposito di Grillo, la società di consulenza Web che produce il sito del comico genovese, la Casaleggio e Associati, ha da poco lanciato il portale giornalistico "Cadoinpiedi", realizzato insieme all’editore Chiarelettere con l’obiettivo di "aggregare la più importante comunità di autori in Italia e avere ogni giorno la loro valutazione su fatti di attualità".
Funzionerà, questa galassia di informazioni e di commenti on line? Da Oltreoceano arrivano segnali incoraggianti: "Il giornalismo sul Web è fattibile", assicura Henry Blodget, ceo e direttore di "Business Insider" che, con otto milioni di utenti unici al mese, 45 dipendenti ben pagati e cinque milioni di dollari di ricavi, ha raggiunto in tre anni il pareggio di bilancio. Il segreto? "I contenuti vanno pensati per la Rete e per un mondo fatto di milioni di fonti, per cui i lettori non vogliono passare tutto il loro tempo on line su una sola testata".