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 2011  febbraio 18 Venerdì calendario

PAUL GOODMAN, OVVERO QUANDO L’UTOPIA DIVENTA UNA TRAPPOLA SOCIALE

Per le Edizioni dell’Asino, Vittorio Giacopini ha curato “Educazione e rivoluzione. Per diventare persone” (66 pagine, 5 euro). Sono scritti di Paul Goodman (1911-1972), scrittore e psico-sociologo, o pensatore morale e politico secondo la grande tradizione anarco-democratica americana: fondendosi con la quale il pensiero marxista ha perso connotati dogmatici e ambizioni scientifiche, acquistando flessibilità e immaginazione pratica. Resta il fatto che nel clima politico novecentesco l’uso pressoché obbligato dei termini “rivoluzionario” e “rivoluzione” ha creato non pochi equivoci. Questi termini compaiono anche in Goodman, con valenza a volte positivamente, a volte negativamente generica. Per Goodman essere rivoluzionari non significa l’assalto al Palazzo d’Inverno, ma pensare e comportarsi secondo una logica liberamente “alternativa”, che il capitalismo e le classi sociali che lo sostengono non possono accettare. Un altro termine, per lo più respinto dal marxismo-leninismo classico, è il termine “utopia”, caro a Goodman e a tutti gli eretici. Riflettendo sul significato del “Pensare per utopie” (titolo del secondo saggio dell’opuscolo) Goodman, nel 1961, scrive: “Dopo un lungo periodo di realismo ‘scientifico’ marxista e di ‘duro realismo da uomini d’affari’, i nostri sociologi hanno cominciato a elogiare il pensiero utopico”. Iniziavano i Sessanta e questa enfasi diventerà la norma. Solo che in Europa l’utopia si sposò presto con il “duro realismo” degli executive marxisti, partorendo, alla fine, il mostriciattolo del settarismo terroristico e dello stalinismo anarchico. Che cosa concludere? Che il “pensare per utopie” può funzionare se dietro c’è, non il marxismo rivoluzionario, ma un pragmatismo umanistico, anche conservatore (qualcosa che oggi si ritrova in un allievo americano della Arendt come Richard Sennett, teorico del craftsman, dell’“uomo artigiano”).
Cito un passo che spiega bene il pensiero di Goodman e il suo appello al comunitarismo: “E’ senz’altro vero che il sistema americano organizzato ha violato la personalità degli individui (…) Disintegrando le comunità e mettendo le persone isolate di fronte ai soverchianti processi della società intera, ha distrutto la misura umana e ha privato gli individui di forme di associazione gestibili che permettano la sperimentazione”. E’ qui che si incontrano, o possono contrapporsi, due pilastri della cultura politica americana: individualismo e comunitarismo. Il Sistema, secondo Goodman, rende impotenti gli individui isolandoli e mettendoli al cospetto di processi sociali schiaccianti che paralizzano nel singolo la capacità di immaginare ogni azione possibile in alternativa a quelle imposte dagli imperativi dell’integrazione e dell’efficienza. Ma cosa succede e che cosa fare (come vivere?) quando le soluzioni comunitarie sono difficili o transitorie o impraticabili? C’è poi da considerare il rischio che la formazione di gruppi e di microcomunità alternative crei uno spirito di setta (in America ce ne sono molte) che allontana i singoli dall’esperienza sociale diretta e dal senso comune. La comunità alternativa protegge dal contatto con la società e limita il rapporto con ciò che la maggioranza quotidianamente fa e vive. In questo senso, la comunità alternativa con fini utopici è la versione morale (o moralistica) del partito politico. Niente priva gli individui della loro indipendenza di giudizio e di comportamento come l’integrazione morale militante entro un piccolo gruppo di “virtuosi”.
Commentando Goodman, mi sembra che Giacopini, nell’introduzione, insegua l’idea di una precettistica etico-politica, di un modello giusto di comportamento. Sarebbe più pragmatico e più libertario, credo, abbandonare la tentazione di prescrivere modelli e soluzioni corrette, considerando che, in ogni caso, tante sono le vie quanti sono gli individui, e che c’è qualcosa da imparare da chiunque esprima in qualche modo (cioè a modo suo) l’esigenza di non cadere nelle “trappole” sociali.
Alfonso Berardinelli