C.F. , Il Secolo XIX 22/3/2011, 22 marzo 2011
XXX, IL QUARTIERE A LUCI ROSSE DEL WEB
FORSE non sarà un flop, ma di sicuro è già un pasticciaccio. Dopo anni di discussioni e rinvii, il quartiere a luci rosse del web ha infatti appena ottenuto il via libera dall’autorità che regola i domini internet. Ciò significa che a partire dalla prossima estate compariranno siti web con suffisso .xxx, la sigla che anche nel mondo fisico sta a indicare contenuti per adulti. E che online contraddistinguerà solo pagine porno. Insomma, di fronte a un indirizzo che termina nella tripla x l’utente non potrà avere dubbi: lì troverà immagini e materiali esplicitamente sessuali. E questa sembra essere la prima delle due certezze scaturite dalla nascita di questo dominio. La seconda è che nessuno – non l’industria erotica, non le associazioni di famiglie, non gli attivisti per la libertà d’espressione – sembra essere contento del nuovo arrivo.
Ma partiamo dai fatti. Nell’ultima riunione svoltasi a San Francisco, l’Icann – l’ente che gestisce l’assegnazione dei suffissi per i siti, i vari .com, .edu, .org ecc – ha preso una decisione storica. Dopo anni di veti ha approvato la nascita di un nuovo dominio di primo livello, ovvero .xxx, per contrassegnare il porno online. A occuparsi della vendita degli indirizzi sarà la Icm Registry, una società privata che attualmente sembra l’unica ad avere buone ragioni per gioire davvero della notizia. Il suo amministratore delegato Stuart Lawley ha infatti dichiarato di aver già ricevuto più di 100mila preregistrazioni di domini: al costo di 75 dollari a registrazione significa un incasso, solo di prevendite, di 20 milioni di dollari. Che nel corso dell’anno potrebbero salire a 200 milioni.
L’Icm Registry, e più in generale i fautori del distretto digitale a luci rosse, sostengono si tratti di una scelta di responsabilità. Infatti con la tripla x i siti porno diventano chiaramente identificabili: non ci si può sbagliare, non si può digitare, per dire, AmorePlatonico.xxx e pensare di finire su un forum di filosofi. Ma soprattutto si agevola l’utilizzo di filtri aziendali o per singoli computer, i famosi parental control che permettono ai genitori di tracciare e arginare la navigazione web dei figli. Non solo: questo tipo di siti dovrebbero essere monitorati anche dal punto di vista dello spam, dei virus e dei malware. La “certificazione” xxx insomma dovrebbe tutelare di più anche i consumatori di contenuti per soli adulti, evitando di riempire i loro computer di messaggi, pop-up, programmi spazzatura o peggio.
Tutto bene dunque? No, perché sono in molti a vedere invece il bicchiere mezzo vuoto. A cominciare dall’industria del settore, che ha sempre giudicato con diffidenza la ghettizzazione ma che soprattutto teme l’aumento dei costi derivanti dalla necessità di acquistare i nuovi domini .xxx, se non altro a scopo difensivo, per difendere cioè il proprio marchio. Perché – e questo è forse il dettaglio decisivo – i domini .xxx non saranno obbligatori. Un sito porno, per capirci, potrà comunque decidere di stare su .com. Tutto ciò porterà probabilmente a una proliferazione di siti, che è poi l’obiezione dei gruppi di famiglie anti-porno, come il Family Research Council. Contrari, proprio come le aziende che producono contenuti erotici, ai siti con la tripla x. Infine, ad opporsi al neonato dominio sono anche i gruppi che difendono le libertà civili e di espressione come l’americano Aclu: i siti .xxx – spiegano - saranno molto più censurabili da parte di Stati illiberali.