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 2011  marzo 23 Mercoledì calendario

L’INCUBO BLACK OUT IN ITALIA

Adesso l’Italia rischia il blackout? Il governo cerca una risposta. La direzione generale “Sicurezza energetica” ha simulato la peggiore delle ipotesi: blocco totale delle forniture nordafricane. I risultati del test sono stati raccolti in un documento riservato di cui il Riformista è venuto in possesso.
Partiamo dall’import di greggio. La Libia è il primo fornitore per l’Italia (arrivano circa 18 milioni di tonnellate di greggio, pari al 23 per cento del totale). Il ministero dello Sviluppo sta continuamente monitorando la situazione dell’import con le compagnie petrolifere operanti in Italia: «La maggior parte di esse - scrivono gli analisti energetici - si è riorganizzata con forniture da altri Paesi (Azerbaijan, Nigeria, eccetera). Solo Eni, Saras e Kuwait Petroleum hanno ancora in programma alcuni carichi nel mese di marzo e aprile, per volumi ridotti, che hanno comunque rallentamenti delle operazioni di carico». Per il ministero, «non vi è, per ora, un problema di carenza di greggio, anche perché i Paesi Opec hanno una capacità produttiva di riserva di circa cinque milioni di barili/giorno, parte della quale attivata, in particolare dall’Arabia Saudita, che ha riequilibrato la domanda».
Diversa è la situazione sul fronte del gas. La Libia è il terzo fornitore italiano - dopo Algeria e Russia - con circa 9,4 miliardi di metri cubi, pari al 12,5 per cento delle importazioni. Il gas libico arriva in Italia, a Gela, tramite il gasdotto sottomarino Greenstream. «Nonostante la sospensione delle forniture - si legge nel documento - la Sicilia e il Sud Italia continuano a essere riforniti mediante il gasdotto che proviene dall’Algeria, che ha una portata di circa 90 milioni di metri cubi al giorno». Dunque, il mancato apporto dalla Libia sta venendo compensato dall’aumento delle importazioni provenienti da altri punti («principalmente dalla Russia e dal Nord Europa»), e con «il maggior prelievo dagli stoccaggi nazionali, che oggi dispongono ancora di circa due miliardi di metri cubi, pari al 25 per cento del gas che era stato stoccato durante l’estate scorsa per fare fronte alla maggiore domanda invernale».
Se si interrompono anche le forniture da altri gasdotti, l’intelligence energetica italiana ha previsto l’utilizzo di uno stoccaggio “strategico”. Si tratta di una sorta di “tesoretto del gas” - pari a 5,1 miliardi di metri cubi - «che potrebbe essere utilizzato in situazione di emergenza». Comunque, per il governo la delicata situazione in Libia «rende strategica la continuazione dell’import dall’Algeria». Secondo i servizi di informazione e i canali diplomatici, «oggi la situazione in Algeria è sotto controllo, ma è alto il rischio che le rivolte potrebbero scoppiare» anche nel paese algerino. Così, la direzione generale “sicurezza energetica” ha voluto simulare anche l’eventualità di un blocco totale delle forniture di gas dal Nord Africa all’Italia. Nel documento si legge: «Una simulazione dell’aggravarsi della situazione con chiusura anche delle importazioni di gas algerino - che transitano in Tunisia e che, attraverso un gasdotto sottomarino giungono a Mazara del Vallo - mostra che sarebbe possibile mantenere le forniture di gas dal Sud Italia, invertendo il flusso di gas nella dorsale italiana, e alimentando anche il Sud Italia con gas che proviene dal Nord del Paese».
Secondo gli analisti energetici del governo, in questa drammatica eventualità, «non ci sono i presupposti per aumenti immediati del prezzo del gas in Italia». Questo perché il mancato apporto dalla Libia è compensato «da maggiori forniture di gas russo e nordeuropeo, a prezzi comparabili con il prezzo del gas libico». Tuttavia, un rincaro potrebbe avvertirsi «a partire dal terzo trimestre 2011». Rincari su rincari in bolletta. Lunedì l’Eni ha fatto sapere che gli effetti delle sanzioni imposte dal Consiglio dei ministri energetici Ue «si abbatteranno sui consumatori finali».
Da questa simulazione, di fatto, si evince la (quasi) totale dipendenza italiana dalla Russia. Almeno sull’energia. I nostri servizi segreti da anni controllano i buchi della nostra «sicurezza energetica». E la più grande preoccupazione arriva proprio dalla Russia. Per l’intelligence italiana, il Cremlino è «intenzionato a consolidare ed estendere il controllo sull’intera filiera del settore energetico». Con una «specifica proiezione sui segmenti trasporto, raffinazione e distribuzione di prodotti». L’ambizioso obiettivo è già stato attuato negli stati della ex Jugoslavia mediante la definizione di joint venture con compagnie locali. L’ingresso in queste nazioni è avvenuto principalmente a opera della russa Gazprom. Il gigante petrolifero «è intervenuto - grazie a intese siglate con aziende greche e bulgare - nella realizzazione di un oleodotto balcanico in grado di portare greggio di provenienza russa in Europa, aggirando lo stretto del Bosforo per motivi fisici, ambientali e politici (limiti alle petroliere provenienti da Novorossiysk)». Ed Eni è sempre più debole. Wintershall - divisione del colosso tedesco della chimica Basf - entrerà nel progetto South Stream con una quota del 15 per cento. Il gasdotto - attualmente controllato alla pari da Eni e Gazprom - porterà il gas russo attraverso il Mar Nero in l’Europa occidentale. Gazprom manterrà la sua partecipazione del 50 per cento: sarà quindi Eni a ridurre la partecipazione in South Stream. Considerando che anche EdF dovrebbe entrare entro fine anno nel progetto con una quota del 10 per cento, la quota di Eni potrebbe ridursi fino al 25 per cento.
Intanto, il governo italiano - in vista di una crisi energetica - potrebbe allentare i vincoli imposti dal decreto Prestigiacomo sulle trivellazioni offshore. Oggi tutti gli operatori interessati si incontano a Ravenna. Il 10-12 per cento del gas che consumiamo si produce in Italia. Per il petrolio la percentuale si abbassa al 7-8 per cento. Camminiamo sopra giacimenti di gas e petrolio e non possiamo estrarre nulla.