a. cod., Nòva24 24/3/2011, 24 marzo 2011
LA LEZIONE DA CERNOBYL
Esiste una relazione molto netta tra l’assorbimento di iodio radioattivo e l’aumento di rischio di tumore alla tiroide: lo dimostrano i dati del più dettagliato studio mai condotto finora, appena resi noti su «Environmental Health Perspective» dagli esperti del National Cancer Institute statunitense, che seguono la vicenda dal 1986. Il team di oncologi e radiologi americani era andato sul posto al momento dell’incidente, e aveva misurato la quantità di iodio 131 assorbita da oltre 12.500 bambini e ragazzi delle tre province colpite (Chernigov, Zhytomyr e Kiev) direttamente nella ghiandola. Quindi aveva seguito nel tempo i giovani, iniziando controlli sistematici clinici e strumentali dopo circa 12 anni, e ripetendoli quattro volte nel giro dei successivi dieci anni: 65 i casi di tumore tiroideo rilevati nel campione (quelli della zona fino a oggi sono stati in totale circa 6mila). E chiarissimo il risultato: più iodio è stato assorbito, maggiore è il rischio, e il fenomeno non sembra affatto in attenuazione. In media, ogni Gray (l’unità di misura internazionale della radioattività) assunto comporta un raddoppio del rischio, ancora oggi. Secondo dati ottenuti sui superstiti di Hiroshima e Nagasaki, il calo si dovrebbe iniziare a vedere dopo circa 40 anni.
Ma gli effetti di quell’esplosione, secondo molti esperti dovuti al fatto che per settimane nessuno impedì alla popolazione di bere latte e mangiare verdure contaminati, si vedono ancora oggi anche in Svezia: secondo dati recenti, il suolo svedese contiene ancora plutonio, cesio e piombo radioattivi in quantità superiori alla media e a una profondità coincidente con l’incidente nella centrale bielorussa (alla stessa profondità in Polonia non c’è traccia degli isotopi di Cernobyl). Inoltre negli anni scorsi due studi hanno fatto emergere un aumento di tumori nella zona più colpita del paese scandinavo, quella nord, anche in quel caso proporzionale al livello di radiazioni misurate all’epoca.