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 2011  marzo 24 Giovedì calendario

LEIBNIZ E IL COMPUTER DELLA CREAZIONE


Dalla vicenda potreb­be scaturire, con un po’ d’inventi­va, un romanzo stori­co carico di suspen­se, dall’accattivan­te titolo Il codice segreto del me­daglione di Leibniz . Gli in­gredienti nar­rativi non manchereb­bero: il per­sonaggio la cui mente geniale ol­trepassa le epoche (Leibniz, appunto); l’ambienta­zione severa e un po’ spettrale del­la Biblioteca Augusta; una missiva mai o­norata di una ri­sposta e, forse, mai ricevuta e, so­prattutto, il disegno per il conio di una me­daglia onorifica, piena di segni, simboli e frasi in la­tino.
Il frontespizio del libro di Rudolf August Nolte dedicato al tema (Lipsia, 1734) offre una raf­figurazione del medaglione: il corpo è costituito da co­lonne di numeri, con prevalenza di 1 e 0, incasellati verticalmente nel­la metà destra, mentre, a sinistra, in forma quasi pi­ramidale. Alcuni di essi sono contras­segnati da un aste­risco.
Come sfon­do, abbiamo un sole nella som­mità, che irradia potenti raggi a dis­sipare una massa informe che si fa sempre più densa e scura via via che si scende verso li­mite inferiore. Ol­tre la data MDCXCVII, cam­peggiano due e­spressioni: in pic­colo, sotto i nume­ri, «Imago Creatio­nis » e, in alto, stampigliato in ca­ratteri rimarcati su un cartiglio che lambisce la circon­ferenza stessa del medaglione, l’enig­matica glossa: «Omnibus ex nihilo ducendis sufficit unum». Quale contenuto esoterico ri­siederà sotto tale simbologia? A quale rimando iniziatico rinvierà? Scopren­do le carte, in realtà, in tale medaglio­ne non dimora alcun arcano, perché esiste una lettera, firmata dallo stesso autore – ovvero, Leibniz – che non so­lo dirada ogni aura di mistero, ma an­zi tenta di esplicare con la massima perspicuità tutti i dettagli della com­posizione. Il destinatario è il duca di Brunswick-Wolfenbüttel Rodolfo Au­gusto, la cui effigie, peraltro, è ritratta nell’altra faccia del medaglione. Nes­sun mistero, dunque, ma, forse, una sorpresa o, per meglio dire, una verità storica non molto spesso raccontata.
Nel 1691, Leibniz è designato dal du­ca Rodolfo Augusto a dirigere la cosiddetta Biblioteca Augusta. Leibniz ha quaranta­cinque anni, non ha ancora scritto i suoi capolavori filosofici, ma è già una celebrità presso la corte di Hannover. Talora, egli è ammesso a conver­sazioni private con il Principe Serenissimo.
Nel maggio 1696, in uno di tali confronti, Leibniz accenna alla sua idea, cullata da lungo tempo, ma non ancora espressa pub­blicamente, intorno alla possibilità di un nuovo tipo di aritme­tica, che riduca i dieci segni della numera­zione araba a due sole cifre, l’uno e lo zero.
Non si sa come il duca alimentò la discussio­ne, ma rimangono tracce di due impor­tanti esiti: l’intuizione secondo cui tale arit­metica binaria poteva essere utilizzata come simbolo della creazione del mondo dal nulla da parte di Dio, e l’entusiasmo del filo­sofo per aver finalmente trovato il si­gnificato alla sua idea sinora priva di scopo. Il 2 gennaio 1697, con l’occa­sione degli auguri per il nuovo anno, Leibniz scrive una lettera al duca con cui torna sull’argomento a lui parti­colarmente caro. E lo fa proponendo un conio memoriale in argento che celebri da una parte la magnanimità del duca e, dall’altra, l’intuizione di quella sera del maggio 1696, tanto es­sa appare meritevole di essere diffusa e trapassare alle generazioni future.
Adesso, agli occhi di Leibniz, l’utilità dell’aritmetica binaria è lampante: «non c’è miglior analogia, o perfino dimostrazio­ne, della creazione di tutte le cose dal niente attraverso l’onnipo­tenza di Dio che l’origine dei nume­ri qui rap­presenta­ta, ovvero usando so­lo l’unità e lo zero, dove dal semplice impiego dell’unità tutti i numeri sono originati». Per questo, spiega il fi­losofo, sotto le co­lonne numeriche sta l’iscrizione «Immagine della creazione» e sopra, in grande evidenza, la glos­sa «Per trarre tutte le cose dal nulla basta l’Uno». E lo stesso concetto è ribadito dal simbolo del sole (l’Uno) che introduce gradual­mente nel caos oscuro e informe (lo Zero) il Logos razionale. Quindi, Leib­niz passa a spiegare al duca il signifi­cato degli asterischi su alcuni nume­ri, ad indicare come si compiano le o­perazioni di addizione e moltiplica­zione nel nuovo cifrario. Il mese suc­cessivo, Leibniz scrive a padre Clau­dio Filippo Grimaldi, gesuita, all’epo­ca in missione in Cina, ribadendo che la sua invenzione è certamente «un nuovo testimonium dei dogmi cri­stiani », nella fattispecie di quello così inviso ai pagani della creazione dal Nulla. Leibniz esprime inoltre la sua speranza che tale rappresentazione dei numeri «possa servire a mostrare sempre più all’imperatore cinese (a­mante dell’arte dell’aritmetica) l’ec­cellenza della fede cristiana». rmai, per Leibniz, è un cre­scendo O di entusiasmo e di cer­tezza della bontà della sua sco­perta e dell’utilità al servizio della fe­de. Ne scrive quindi a Johan Christian Schulenberg, a padre Joachim Bou­vet, al matematico Johann Bernoulli, a Bernard le Bovier de Fontanelle, se­gretario dell’Accademia delle Scienze di Francia. È un rincorrersi di nuovi arricchimenti dell’idea. Ora, il filo­sofo richiama il versetto del Vangelo di Luca 10,42 (episodio di Marta e Maria) «unum est necessarium», ora vede dimostrato che il sabato, il setti­mo giorno, è la perfezione e il compi­mento, perché, nel suo nuovo codice binario, il numero 7 figura come 111, che non ha traccia dell’oscurità dello 0 ed ha, per di più, una particolare «relazione con la Trinità». Oggi si sa bene che il sistema di numerazione binaria serve anche a qualcos’altro, costituendo l’essenza del linguaggio di programmazione dei computer. Ed è parimenti assodato storicamente, come documenta – uno per tutti – Anton Glaser nel suo History of bi­nary and other nondecimal numera­tion (Pennsylvania, 1971), che in me­rito a tale invenzione, nonostante i vari apporti, c’è solo un «prima di Leibniz» e un «dopo Leibniz».