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 2011  marzo 24 Giovedì calendario

IL NUOVO FORD

HENRY, il “divino meccanico” di origini irlandesi, fondò la Ford. Alan, l’ingegnere arrivato dal cielo dopo aver riportato in quota la Boeing, ha rifondato la Compagnia. Lui è Alan Roger Mulally, «l’uomo della rinascita Ford», come lo ha definito il Wall Street Journal. Eh sì, quando il manager californiano atterrò a Detroit, il gigante di Dearborn attraversava la fase più critica della sua storia ultracentenaria e i conti dell’azienda (al pari di quelli degli altri due colossi dell’auto Usa, GM e Chrysler) puntavano dritti verso il fallimento.
Corsi e ricorsi. Nella scommessa per evitare la bancarotta, Bill, pronipote di Henry e attuale presidente esecutivo della Società, dopo aver valutato le candidature dei dirigenti più accreditati del settore (si parla di Carlos Ghosn di Renault-Nissan e Dieter Zetsche della Daimler), decise di puntare su un condottiero che sapeva poco di auto, ma che aveva molti punti in comune con il suo celebre nonno Henry. Come spesso avviene, per uscire dalla palude bisogna avere il coraggio di guardare avanti, di intraprendere nuove strade, di fare cambiamenti profondi. Senza mai perdere di vista, però, le proprie radici, il proprio passato e la propria tradizione. È quello che Mulally ha fatto, con discrezione e con successo. Nel pieno della tempesta il valore dell’azione Ford era scesa a meno di un dollaro, nelle settimane scorse è tornato sopra i 18 e l’azienda, che era stata costretta a ridimensionare produzione e fatturato per risollevarsi, ora ha una capitalizzazione di circa 60 miliardi di dollari e di nuovo la capacità di puntare alla leadership del settore.
«Dopo 37 anni di lavoro nello stesso posto ero certo di andare in pensione alla Boeing - racconta il manager di origini del Kansas - solo un’opportunità del genere avrebbe potuto cambiare il mio futuro. Quando mi è stato proposto il timone dell’Ovale Blu non ci ho messo molto a decidere, era una sfida difficile ma assolutamente da accettare: la Ford, come la Boeing, è un’azienda tecnologica e globale ma, soprattutto, è un simbolo dell’America con il potenziale per tornare all’antico splendore». Mulally racconta che suo nonno e il suo bisnonno erano fedeli clienti di Henry Ford e l’anziana mamma fece salti di gioia quando venne a sapere che Alan stava per cambiare lavoro. «Già prima di entrare nel quartier generale di Dearborn ho capito che serviva una svolta drastica, non bastavano piccoli correttivi. Mi sono venuti a prendere sotto l’aereo con una Land Rover Discovery; poi nel garage dei dirigenti ho visto Aston Martin, Jaguar, Lincoln, Volvo, Mercury, ma non c’era nemmeno una Ford. Eppure l’Ovale Blu rappresentava l’85% del nostro business mondiale. Così non va, mi sono detto, dobbiamo concentrare tutte le risorse e le nostre capacità sul marchio principale: un progetto, un obiettivo, un team, ecco quindi la strategia “One Ford”».
Mulally spiega il problema anche dal punto di vista economico-finanziario: «Dopo aver fatto la mia “due diligence” avevo visto che la situazione della Compagnia era drammatica, le previsioni per il 2006 parlavano di una perdita di 17 miliardi di dollari: un trend del genere brucia le risorse in un lampo, o si inverte la tendenza rapidamente o la fine è inevitabile. Così ho deciso di ipotecare tutti i beni dell’azienda escluso quelli che intendevamo dismettere e il sistema bancario ci ha concesso finanziamenti per 23,5 miliardi di euro, una cifra indispensabile per superare le difficoltà e investire senza esitazione sui nuovi prodotti, l’unica via di uscita per tornare a competere. Questa decisione ci ha consentito di superare la crisi senza gli aiuti pubblici e senza rischiare il fallimento. Lo scorso anno siamo rientrati di 14 miliardi e in questo trimestre ridurremo il debito di altri tre miliardi. L’indebitamento diminuisce e la liquidità aumenta».
In una fase in cui i principali costruttori si alleavano o fondevano fra loro per far crescere la massa critica e sfruttare sinergie ed economia di scala, Mulally è andato avanti con le proprie forze: «Prima le varie Ford nel mondo, quella americana e quella europea, fino a quella asiatica, lavoravano autonomamente, quasi in concorrenza l’una con l’altra. La nostra vera joint venture è stata quella di metterci a lavorare tutti insieme, ognuno deve sapere quello che fanno gli altri. Adesso la squadra è composta da 18 top manager, almeno una volta a settimana ci riuniamo in teleconferenza per analizzare attività, opportunità e problemi in ogni angolo del mondo».
Henry Ford era per la semplificazione dei processi e per la produzione elevata, per la globalizzazione e la qualità. Fu lui ad introdurre la catena di montaggio nell’industria dell’auto e fu lui a motorizzare l’America inventando il mitico Modello T (pur di contenere i costi, la produceva solo nera....). «C’è vero progresso solo quando le nuove tecnologie diventano disponibili per tutti», amava ripetere il divino meccanico e la Ford T era una vettura che non si rompeva mai, arrivò ad una produzione di diecimila esemplari al giorno e, nell’anno in cui fu lanciata, una T venne venduta anche in Europa, a Liverpool (nel 1909 iniziò la produzione a Manchester).
Nel 1920 oltre la metà delle auto in circolazione negli Usa erano delle Ford T, nel 1925 il prezzo era sceso ad appena 260 dollari. Condividere i successi e mantenere gli impegni, era la filosofia di Ford che nel 1915 spese una cifra ingente per ridare a tutti i clienti della “T” 50 dollari ciascuno poiché, come aveva promesso, la produzione dell’auto aveva superato (anche se di poco) le 300 mila unità l’anno.
«Quando sono arrivato a Dearborn in gamma avevamo 97 modelli, ora ne abbiamo venti che sono in grado di soddisfare tutte le esigenze a livello mondiale, dalle citycar ai veicoli commerciali. Abbiamo ridotto il numero delle piattaforme investendo ingenti risorse in nuovi pianali e propulsori molto più efficienti. Adesso la nostra qualità è almeno al livello dei migliori concorrenti giapponesi e i nostri veicoli sono quelli che meno consumano e più rispettano l’ambiente. Non sono un “car guy”? È vero, non ho trascorso la mia carriera nel mondo dell’auto, ma sono un ingegnere e ho passato la vita a progettare aerei: sono stato anche il responsabile del progetto 777, un oggetto straordinario realizzato mettendo insieme sette milioni di pezzi contro i diecimila di una buona auto. Credo nella tecnologia e la Ford è un’azienda tecnologica che rende le innovazioni disponibili per tutti. La nuova Focus monta dispositivi elettronici all’avanguardia per la categoria e avrà anche la versione elettrica, il collaborazione con Microsoft stiamo sviluppando un sistema che consente di dialogare attraverso internet con il mondo esterno, utilizzando la voce, senza togliere le mani dal volante».
La nuova Focus, appunto, il primo progetto interamente realizzato sotto la gestione di Alan Mulally, la prima vettura totalmente in linea con la filosofia One Ford. La grande famiglia Focus darà vita a dieci modelli diversi, anche ibridi ed elettrici, con una produzione che raggiungerà due milioni e mezzo di esemplari l’anno da vendere in tutti i continenti: un Modello T del terzo millennio. Il pilota dell’Ovale conclude misurando la temperatura al pianeta della mobilità: «Il settore dell’auto sta andando bene, il mercato mondiale crescerà ancora ma, mentre l’area del Pacifico è in grande espansione e il Nord America dopo la tempesta è riuscito a ritarare la capacità produttiva, in Europa l’offerta è ancora troppo alta rispetto alla domanda e per correre dietro ai volumi si sacrificano gli utili».