Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 20/03/2011, 20 marzo 2011
I SEGRETI DI CARAVAGGIO NELLA CAPPELLA CONTARELLI
Che il Martirio di San Matteo fosse stato un martirio anche per Caravaggio, in parte si sapeva già. Le prime radiografie, risalenti al 1951, avevano rivelato la presenza, sotto il dipinto attuale, di una prima versione completamente differente, che mostrava le scelte e le difficoltà compositive del Merisi alle prese con la sua prima opera pubblica, nel 1599. Ora, le nuove ricerche (con radiografie su supporto digitale, riflettografia ad infrarossi e analisi della fluorescenza) eseguite sulle tre opere della cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi, hanno non solo confermato il rifacimento totale del quadro, ma hanno svelato nuovi particolari sulla tecnica dell’ artista, come le tracce di compasso rilevate nel fondo della Chiamata di San Matteo, che segnano i punti per una divisione prospettica della superficie secondo le proporzioni della famosa «sezione aurea». I risultati della campagna diagnostica, promossa dal Comitato per le celebrazioni del IV centenario della morte del Merisi, sono presentati nella mostra «Caravaggio. La cappella Contarelli», voluta dalla soprintendente del polo museale Rossella Vodret e aperta fino al 15 ottobre nell’ ex Refettorio di Palazzo Venezia. Qui, per rendere comprensibile al grande pubblico i risultati della ricerca, di solito riservati agli studiosi, è stata allestita una ricostruzione in scala reale della cappella, con le grandi riproduzioni fotografiche dei tre dipinti, che offre l’ occasione di osservare da vicino i dettagli normalmente non leggibili nella penombra della chiesa. Una postazione interattiva guida i visitatori nel viaggio dentro gli strati di pittura: si naviga attraverso i dettagli della superficie del quadro e si scopre che, nella prima versione del Martirio, Caravaggio aveva usato l’ Incisione Prevedari del 1481, tratta da un disegno prospettico di Donato Bramante, per realizzare il monumentale sfondo architettonico che incorniciava la scena. Che questa era sovraffollata di figure più piccole del naturale e che San Matteo, ferito a terra, era a malapena visibile, dominato dai corpi seminudi dei carnefici. Quando il quadro era quasi al termine, l’ artista si rese conto che mancava di una coerenza strutturale interna e che bisognava ricominciare daccapo. Come poteva essersi sbagliato? «Le grandi tele della cappella - spiega Vodret - sono il primo incarico pubblico di Caravaggio e il suo vero e proprio debutto nell’ ambiente artistico romano. Inoltre, l’ artista era abituato a dipingere quadri di piccolo e medio formato. Questi invece misurano oltre tre metri per tre e bisognava completarli entro un anno, per di più secondo precise indicazioni iconografiche, impartite dal cardinal Contarelli». Una sfida quasi impossibile. Tanto che in precedenza avevano fallito nell’ impresa il pittore bresciano Gerolamo Muziano, il fiammingo Jacob Cornelisz Cobaert e il Cavalier d’ Arpino. In che modo alla fine Caravaggio ci sia riuscito, è raccontato da Vodret e da altri studiosi nel filmato di trenta minuti proiettato in mostra su un ampio schermo.
Lauretta Colonnelli